Dolore e commozione in una gremita chiesa Santa Maria alla Sanità, dove si sono svolti i funerali di Emanuele Tufano, il 15enne ucciso al centro di Napoli durante un conflitto a fuoco tra bande di minori armati.
Di seguito le fasi salienti dell’onestà del vescovodi Napoli Mimmo Battaglia che ha celebrato i funerali:
“Un copione, un canovaccio, una routine perversa: l’ennesima giovane vita. L’ennesimo funerale. Gli ennesimi appelli. L’ennesima indifferenza e impotenza. L’ennesima voglia di non parlare, di non dire nulla poiché nulla è rimasto da dire e il tempo delle parole è ormai finito. Perché non ci sono parole che possano lenire il dolore di due genitori, di una famiglia che vede spezzata la vita del proprio figlio.E come comunità, come Chiesa, siamo qui per condividere questo dolore. Siamo qui per portare insieme il peso di una sofferenza che è troppo grande per essere sopportata da soli. Quindici anni. Un’età in cui si sogna, si scopre il mondo, si costruiscono speranze. E invece, oggi ci troviamo di fronte a una morte assurda che lascia dentro di noi un vuoto terribile e uno sconcerto che sembra non passare. Ci chiediamo il perché. Perché tanta violenza? Perché dei ragazzi uccidono? Cosa e dove stiamo sbagliando? Perché molti nostri giovani sembrano essere attratti da appartenenze oscure piuttosto che da possibilità di luce e di bene?.E noi adulti siamo ancora capaci in questa città di testimoniare queste possibilità, di accogliere e raccogliere il grido disperato e inconsapevole di tanti suoi figli? Queste domande ci abitano il cuore, e spesso restano senza risposte.Possibile che Napoli continui a partorire molti dei suoi figli per poi sacrificarli sull’altare di un’inutile e insensata violenza? Sono queste le nostre preghiere oggi, queste le nostre domande, domande che pesano come macigni, che annebbiano la vista dell’anima, imprigionandoci nel buio della morte e della disperazione.Noi dimentichiamo con troppa facilità. Dimentichiamo il sangue che scorre, dimentichiamo il terrore negli occhi, dimentichiamo le urla delle madri, dimentichiamo i figli di questa città abbandonati a sé stessi e consegnati alle celle di un carcere o al cimitero. Noi si, noi dimentichiamo. E tiriamo a campare. Distraendoci e stordendoci. Raccontando di una città che esiste solo in parte, rifugiandoci nei numeri del turismo, nei protocolli avviati, distogliendo lo sguardo da questa follia di un mondo adulto che non vede più i suoi figli più giovani e più fragili.Un ultimo messaggio lo rivolgo a quei ragazzi che credono di risolvere tutto con la violenza: vi prego, deponete le armi, abbandonate la logica del sopruso e della prepotenza e lasciatevi raggiungere, educare ed accompagnare da chi crede ancora in voi, da chi vede nel vostro cuore un punto sacro e accessibile al bene. Perché è in gioco la vostra vita e cambiare è possibile”.