Doveva essere un’epurazione interna, ordita dal clan De Micco di Ponticelli per disfarsi di Antonio Pipolo, un affiliato diventato scomodo e inaffidabile e invece si è trasformato nel passo falso che ha esposto i “bodo” proprio a quel pericolo che auspicavano di sventare, favorendo le circostanze che hanno portato lo stesso Pipolo a collaborare con la giustizia.
Determinante, secondo quanto ricostruito dal collaboratore alla magistratura, l’intervento di una figura apicale della camorra napoletana che Pipolo definisce “il suo angelo custode” in quanto, il suo gesto si è rivelato provvidenziale concorrendo a salvargli la vita. Si tratta di Gesualdo Sartori, figura apicale del clan D’Amico di San Giovanni a Teduccio, costola dei Mazzarella.
Un sabato sera qualunque destinato a sfociare nel sangue, complice una lite che sarebbe scoppiata con altri esponenti della camorra napoletana nella discoteca club Partenopeo di Agnano. Questo il piano ordito dal clan De Micco per compiere quell’epurazione interna, allontanando i sospetti degli inquirenti e degli altri affiliati, in primis Ivan Ciro D’Apice, cugino di Pipolo, legato allo stesso clan.
Pipolo aveva raggiunto il locale in compagnia di altri due affiliati al suo stesso clan, Umberto Dello Iacolo e Alessio Velotti, oltre a due ragazzi dei quartieri Spagnoli. A mandare in fumo il piano dei tre una ragazza mandata proprio da Sartori che gli aveva fatto capire che doveva allontanarsi, perché gli era stata tesa una trappola per ucciderlo.
Un sentore che Pipolo aveva già carpito quando era stato avvicinato da uno dei due ragazzi dei Quartieri Spagnoli che mostrandogli una pistola, mentre si trovavano nel parcheggio del locale, gli aveva chiesto di salire in auto con lui, sostenendo che non trovava un altro passaggio, perché armato, ma Pipolo si rifiutò.
Quando comprese quello che poteva accadere, Pipolo si allontanò dal locale. Il racconto del collaboratore si protrae anche alla sera seguente, quando avrebbe incontrato Ciro Naturale, il ras della droga che in momento storico ricopriva il ruolo di reggente del clan De Micco, al quale avrebbe chiesto spiegazioni, anche in presenza di suo cugino Ivan Ciro D’Apice.
Naturale gli avrebbe confermato che volevano ucciderlo e gli avrebbe quindi suggerito di uccidere Carlo Esposito, indicandolo come il soggetto che aveva deliberato il suo omicidio, coinvolgendo i ragazzi dei Quartieri Spagnoli. Un omicidio che sarebbe stato deliberato per dare un “segnale” a Francesco De Martino, parimenti presente al “summit” nell’ambito del quale si era deciso di ucciderlo, perché in quel periodo storico manifestava le prime ostilità verso i vertici del clan che poi porteranno, a distanza di un anno, al tentato omicidio del ras Ciro Naturale, ordito dagli stessi De Martino per mettere fine ai continui dissidi di carattere economico ed occupare un ruolo di maggiore rilievo nello scenario malavitoso ponticellese.
Naturale gli avrebbe anche consigliato di andare via da Napoli in quanto a conoscenza di troppe cose, tra cui i responsabili dell’omicidio di Carmine D’Onofrio, e nell’elencare le varie motivazioni che avevano inciso su quella condanna a morte, fece anche riferimento alla sua indole ribelle, non vista di buon occhio dai vertici del clan.
Il collaboratore si convince della versione fornita dal reggente del clan De Micco, anche perché mette insieme due tasselli che concorrono a rafforzare quella tesi. Ricorda di aver visto in passato proprio Carlo Esposito in possesso della pistola esibitagli dal ragazzo dei quartieri Spagnoli in discoteca. Inoltre, associa l’auto parcheggiata dietro la sua in discoteca in modo da bloccarla, a una vettura che aveva recuperato su richiesta di Marco De Micco Marco, circa 7 o 8 mesi prima, per darla a Salvatore De Martino.