Era uno degli arresti più attesi dagli abitanti di Ponticelli, quello di Giovanni Braccia, 54 anni, sulla carta titolare di una salumeria nel rione Incis di Ponticelli, di fatto, ras del clan De Martino che, grazie a un vincolo di parentela che lo lega ai D’Amico di San Giovanni a Teduccio, ha ricoperto un ruolo cruciale in più circostanze, sia per sedare contenziosi e incomprensioni, ma soprattutto per consolidare gli equilibri interni al clan dei cosiddetti “XX”. Amico d’infanzia del ras Francesco De Martino, dapprima titolare di un negozio di fiori a piazza Mercato a Napoli, poi approdato in pianta stabile nel rione Incis dove la sua salumeria ha funto da quartier generale del clan.
Tantissime le segnalazioni pervenute alla redazione del nostro giornale, fin da prima che Braccia finisse in manette, soprattutto da parte di cittadini terrorizzati dall’operato del ras che era solito praticare metodi violenti ed intimidatori per regolare qualsiasi tipo di contenzioso, soprattutto per sollecitare il saldo dei debiti maturati dai clienti della sua salumeria. Tantissimi cittadini continuano a segnalare le riunioni e i summit che si sarebbero svolti nella cantina del suo negozio, dove sarebbero stati convocati anche soggetti estranei alle dinamiche malavitose ai quali sarebbero state indirizzate minacce estorsive e non solo.
Braccia era una figura strategica del clan, così come traspare dal ruolo di consigliere e supervisore che ha ricoperto quando si è visto costretto a fare da guida a Salvatore De Martino, il più piccolo dei figli di “Ciccio ‘o pazzo”, ma anche il meno capace di marcare la scena camorristica con un livore criminale degno della fama che gli altri uomini di casa De Martino erano riusciti a conquistare. Consapevole delle lacune del giovane, Braccia è sempre accorso in suo aiuto, pur non tralasciando gli interessi personali. Per lungo tempo, infatti, ha custodito le armi dei De Martino e secondo quanto dichiarato da fonti interne allo stesso clan, tutti i recenti sequestri di armi eseguiti dai poliziotti del commissariato di Ponticelli sarebbero avvenuti grazie alle sue segnalazioni. Un rapporto solido e longevo, quello tra Braccia e certi poliziotti, confermato anche dalle dichiarazioni rese dall’ex affiliato ai De Micco-De Martino, oggi collaboratore di giustizia, Antonio Pipolo, secondo il quale era lo stesso Braccia a fornire al clan informazioni costanti e aggiornate circa i blitz.
Un fatto che di per sé potrebbe concorrere a giustificare il tardivo arresto di una delle figure apicali della scena camorristica locale che ha sistematicamente mostrato una forte spregiudicatezza, unitamente a un livore criminale che gli è valso la fama del ras spietato e temibile, fin da ragazzo.
Braccia fu tratto in arresto quando aveva poco più di vent’anni, al culmine di una vicenda che lasciò sbalorditi gli abitanti del rione Incis che hanno prontamente rispolverato quell’aneddoto, all’indomani del recente blitz che ha nuovamente fatto scattare le manette per il ras.
All’epoca, Braccia lavorava com magazziniere presso un noto negozio d’abbigliamento di Napoli e fu tratto arrestato dopo aver ricevuto la visita delle forze dell’ordine sul posto di lavoro e che ritrovarono “l’oro della Madonna”, rubato all’interno della chiesa del rione Incis. Braccia, arrestato e condannato in quanto riconosciuto come l’autore di quel clamoroso furto, aveva occultato il ricco bottino nella cabina dell’interruttore della luce ubicato nel magazzino del negozio dove lavorava e al quale aveva accesso esclusivo. Un episodio che suscitò comprensibilmente stupore e collera da parte dei fedeli, indignati dal fatto che quel giovane avesse indirizzato un simile e blasfemo affronto alla Madonna.
Su queste gesta, il salumiere ha costruito la sua carriera malavitosa, sviluppando un acume criminale che gli ha consentito di imbastire strategie e piani artificiosi, così come dimostrano le centinaia di intercettazioni che lo riguardano, e che si spingono ben oltre la mera gestione della piazza di droga istituita nella sua abitazione e che ha fatto scattare le manette anche per una delle sue tre figlie. Gli altri affiliati erano consapevoli delle sue doti da doppiogiochista e per questo si fidavano poco di lui. Emblematica la vicenda che lo ha visto subire un ricatto estorsivo da parte di un altro fedelissimo dei cosiddetti “XX”, Giuseppe Velotti, detenuto da svariati anni che proprio dopo aver raggiunto il decimo anno di reclusione, pretese da Braccia “un regalo” di 10mila euro quale prezzo da pagare per continuare a beneficiare della sua libertà. Velotti era finito dietro le sbarre per una serie di reati compiuti insieme a Braccia che, però, non avrebbe spartito il bottino in parti eque, trattenendo per sé ingenti somme di denaro con la promessa che avrebbe provveduto al suo mantenimento e a quello dei suoi familiari, quando sarebbe finito dietro le sbarre. Quando Velotti è stato effettivamente tratto in arresto, Braccia non avrebbe però mantenuto quell’impegno. Motivo per il quale, Velotti avrebbe preteso di ricevere dal suo complice una sorta di forma di risarcimento pari a mille euro per ogni anno trascorso in carcere, denaro necessario per garantirgli un buon avvocato difensore e che rappresentava soprattutto il prezzo da pagare per evitare che facesse il nome del suo complice agli inquirenti.
A distanza di decenni dall’insediamento del clan De Martino nella zona compresa tra il rione Incis e il rione Fiat di Ponticelli, una delle figure più radicate all’interno dell’organizzazione, nonché pedina cruciale e strategica dello scacchiere camorristico della periferia orientale di Napoli, per la prima volta occupa un ruolo di rilievo anche all’interno di un’ordinanza di custodia cautelare e non si tratta di un caso isolato. Nelle oltre mille pagine che argomentano le motivazioni che hanno portato all’arresto di 60 soggetti contigui al clan De Micco-De Martino, per la prima volta figurano i nomi di soggetti addentrati da tempo immemore nelle dinamiche malavitose locali.