A 24 ore di distanza dall’agguato in cui è rimasto gravemente ferito il 31enne Mario Liguori, nel “Parco di Topolino”, fortino del clan De Micco, regna un forte clima d’omertà.
Contrariamente a quanto accade di consueto nelle ore che seguono un agguato di camorra nei rioni controllati dai clan operanti sul territorio, in questa circostanza faticano a trapelare indiscrezioni e informazioni da parte di chi ha visto o sentito qualcosa di irrilevante. Un atteggiamento di omertosa difesa che generalmente viene adottato quando nella vicenda sono coinvolte figure di spicco della criminalità locale. Un fatto che trova riscontro in una serie di altri elementi oggettivi, in primis, il luogo scelto per compiere l’agguato: uno dei luoghi-simbolo dell’egemonia del clan De Micco a Ponticelli.
La dinamica dell’agguato e la modalità con la quale i sicari sono entrati in azione, ricostruiscono un’azione militare organizzata e pianificata nei dettagli. Il 31enne sarebbe stato attirato in una trappola e si sarebbe recato in via Vera Lombardi ignaro del destino al quale si accingeva ad andare incontro. La Fiat 500 bianca crivellata di colpi è uno dei tanti elementi al vaglio dei poliziotti della Squadra Mobile di Napoli ai quali sono state affidate le indagini.
Almeno due le pistole utilizzate. Questo il primo dettaglio emerso dall’analisi dei reperti balistici che avrebbero consegnato agli inquirenti l’analisi di due tipologie di proiettili di diverso calibro. Pertanto, sono almeno due i killer che hanno sparato a Liguori. Una serie di elementi che lasciano poco spazio a dubbi circa la matrice dell’agguato e l’obiettivo da perseguire: Liguori doveva essere ucciso.
Soccorso tempestivamente da alcuni passanti che hanno provato a tamponare le vistose ferite, il 31enne è stato poi trasportato all’ospedale del Mare ed è stato sottoposto immediatamente a un delicato intervento chirurgico. A destare particolare preoccupazione, le ferite riportate all’addome.
Un altro giallo è legato alla figura della vittima: Liguori non era sicuramente uno dei soggetti più in vista del contesto malavitoso locale. Alcuni conoscenti lo descrivono come “un broker della droga in buoni rapporti con i De Micco”. Un dettaglio che, se confermato dagli inquirenti, potrebbe concorrere a chiarire il movente dell’agguato che verosimilmente potrebbe essere scaturito da contrasti riconducibili proprio al business della droga. Liguori sarebbe imparentato con una figura di primo ordine di uno dei clan operanti nel vicino comune di San Giorgio a Cremano e proprio in quella zona si sarebbero concentrati i suoi affari. Un fatto che potrebbe ricondurre l’agguato a un possibile conflitto per il controllo del territorio o dei business illeciti nel comune al confine con il quartiere Ponticelli. Seppure questa ipotesi sembra stridere con il momento storico delicato attraversato dai De Micco, in vista dell’imminente scarcerazione di diversi affiliati al clan D’Amico.
D’altronde, la rissa scoppiata poco dopo l’agguato e che ha visto protagonisti alcuni parenti di una figura apicale del clan De Micco e le parole grosse che sono volate in quel frangente, così come nei giorni scorsi, fungono da contorno e concorrono a chiarire il clima di concitata tensione che regna all’interno del clan dei cosiddetti “bodo”.
E’ opportuno ricordare che, prima di ieri, l’ultimo agguato andato in scena in quella stessa sede risale a circa un anno fa e fu indirizzato a un elemento di spicco dello stesso clan De Micco: Ciro Naturale che in quel momento ricopriva il ruolo di reggente dello stesso clan. Anche Naturale fu raggiunto da una sfilza di proiettili che lo ferirono gravemente, ma dopo un breve periodo trascorso in bilico tra la vita e la morte, si riprese completamente e tornò a casa dopo circa un mese di degenza ospedaliera. In quel caso si trattò di un’epurazione interna: i De Martino, alleati dei De Micco, miravano a uccidere il reggente del clan per ribaltare le gerarchie e acquisire la leadership del clan. L’agguato fu pianificato grazie al supporto di alcuni affiliati al clan residenti nello stesso “parco di Topolino”, come Vincenzo Valentino detto ‘o veloce, indicato dallo stesso Naturale come uno dei partecipanti all’azione finalizzata ad ucciderlo. Valentino, attualmente detenuto, conquistò la ribalta nazionale lo scorso inverno, quando l’inviato di “Striscia la notizia” Vittorio Brumotti si recò nel fortino dei De Micco per documentare l’attività di una piazza di droga e rischiò il linciaggio da parte di alcuni residenti in zona. Brumotti fu oggetto di inquietanti minacce e fu costretto a rifugiarsi in un palazzo per sottrarsi alla furia dei presenti.
Un aneddoto che concorre a ricostruire il contesto e che ben descrive il predominio acquisito dal clan in quella sede, ma anche il consenso che accompagna e copre le gesta degli esponenti della criminalità locale. Motivo per il quale, soprattutto le famiglie estranee alle dinamiche camorristiche hanno paura di esporsi. Per questo motivo il clima di rigida e timorosa omertà che troneggia sul fortino dei De Micco rappresenta un altro aspetto che concorre a gettare una fitta ombra di sospetti proprio sull’organizzazione attualmente egemone a Ponticelli. Difficilmente un’altra organizzazione camorristica operante in zona avrebbe potuto agire indisturbata nel bunker dei De Micco, così come non avrebbe beneficiato della solida copertura che circuisce l’ultimo agguato andato in scena a Ponticelli.
Quel clima denso di timore e prudenza si sta diffondendo ben oltre “il parco di Topolino” e sembra aver attecchito anche gli altri rioni del quartiere, nelle ore successive all’agguato. La gente comune non fa domande, preferisce non sapere e non capire, anche per attivare un comprensibile meccanismo di autodifesa alla luce della consapevolezza che quell’agguato potrebbe rivelarsi destinato a fungere da apripista, introducendo nuovi e inaspettati venti di guerra.