Ha deciso di collaborare con la giustizia “la pazzignana” Luisa De Stefano, reggente di uno clan più datati della periferia orientale di Napoli che annovera la sua roccaforte nel rione De Gasperi di Ponticelli. Una notizia che aleggiava da tempo negli ambienti malavitosi, complici alcune leggerezze commesse dai parenti che hanno rifiutato di aderire al programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia, proprio come accadde nel 2019, quando fu Tommaso Schisa, primogenito della De Stefano a passare dalla parte dello Stato.
Del resto, l’apprensione palesata dai parenti invischiati negli affari illeciti, in primis dai nipoti di Luisa de Stefano e dal fratello “Giovannone”, -stimato essere l’attuale reggente del clan dei “pazzignani” – lasciavano intuire che dietro la decisione di restare barricati in casa per sottrarsi a un possibile agguato, si celasse molto di più delle dinamiche riconducibili alla faida di camorra in corso a Ponticelli e scaturita dall’atto di ribellione inscenato da Salvatore Montefusco, amico di vecchia data e alleato di Giovanni De Stefano.
I “pazzignani”, fin da prima che sul rione spirasse lo spettro della possibile incursione dei rivali del clan De Micco, avevano già optato per un profilo basso, vivendo da segregati in casa e blindando il rione con videocamere sofisticate in grado di monitorare ad ampio raggio l’intera zona. Un timore più che fondato, alla luce della lunga militanza della De Stefano nei contesti malavitosi della periferia orientale di Napoli e che inevitabilmente fornirà alla magistratura preziosi assist per sgominare i cartelli camorristici operanti nel territorio nel quale “la pazzignana” si è destreggiata per decenni. E’ lì, nell’ex fortino dei Sarno, che Luisa De Stefano ha trascorso la maggior parte dei suoi 53 anni, ma la sua area d’interesse si è estesa ben oltre, dall’entroterra vesuviano al cuore del centro storico di Napoli, grazie a una serie di alleanze srrategiche.
La nascita del clan Sarno tra gli isolati del rione De Gasperi, poi il legame sentimentale con Roberto Schisa, fedelissimo dei Sarno, il matrimonio, i due figli, Tommaso e Rosa, i gloriosi e prosperi anni in cui i Sarno erano il clan più influente dell’intera città di Napoli, seguiti dalla disfatta scaturita dalla dissoluzione di quell’impero, per effetto del pentimento delle figure di spicco dell’organizzazione. In seguito al declino dell’era dei Sarno e all’arresto del marito, Luisa De Stefano ha messo insieme i cocci e ha cercato di rifondare il clan sui relitti di quel regno distrutto, sobbarcandosi anni di umiliazioni e stenti, costretta a restare relegata nel rione De Gasperi, dedicandosi allo spaccio di stupefacenti e ad altri business illeciti di poco conto, pur continuando a bramare riscatto e vendetta, riponendo grandi aspettative sul suo primogenito Tommaso che, dal suo canto, prima ancora di compiere 18 anni aveva già iniziato a collezionare lunghi periodi di detenzione alternati a scampoli di libertà.
Quella trama che Luisa De Stefano non ha mai smesso di tessere, le ha consentito di intrecciare alleanze clamorose, ma efficaci che le hanno consentito di centrare l’obiettivo: contestualmente al blitz che decapitò i De Micco, fu proprio lei ad animare la ribellione contro il clan egemone, rifiutando di continuare a versare nelle casse dei rivali la tangente sui proventi delle attività di spaccio, dando il via alla faida di camorra che consentì all’alleanza costituita dai vecchi clan di Napoli est di conquistare il controllo del territorio. Un’alleanza che debuttò sulla scena criminale in sordina, pur mettendo la firma su una sfilza di omicidi eccellenti: quello del boss dei Barbudos Raffaele Cepparulo – in cui perse la vita anche la vittima innocente Ciro Colonna, di appena 19 anni – ma anche i parenti dei Sarno, Mario Volpicelli e Giovanni Sarno, estranei alle dinamiche camorristiche, uccisi per compiere una vendetta trasversale.
Negli anni in cui l’alleanza ha troneggiato sulla periferia orientale di Napoli, l’abitazione di Luisa De Stefano era il quartier generale dell’organizzazione, il cuore pulsante, il fulcro di ogni azione e pianificazione. Poi il blitz che portò all’arresto delle figure apicali del clan che parteciparono all’omicidio Colonna-Cepparulo e l’alleanza iniziò a vacillare.
In questo clima maturò il pentimento di Tommaso Schisa, primogenito di Luisa De Stefano, figlio di un “uomo d’onore” che ha incassato un ergastolo grazie alle dichiarazioni rese dai suoi ex sodali, poi passati dalla parte dello Stato. Un pentimento che la famiglia/clan dei “pazzignani” ha cercato di osteggiare in tutti i modi: minacce, intimidazioni, umiliazioni, indirizzate a profusione all’ex rampollo del clan che proprio quando ha scelto di voltare le spalle alla camorra ha dato la più grande dimostrazione di forza e determinazione. Non si è mai voltato indietro, non ha mai titubato, Tommaso Schisa ha intrapreso quel percorso a schiena dritta e con una determinazione che lascia poco spazio ai dubbi circa la sincerità delle motivazioni che lo hanno spinto a far sì che fosse il desiderio di costruirsi una nuova vita a prendere il sopravvento su quella vita che negli anni più belli e spensierati lo ha condannato a trascorrere lunghi periodi in carcere.
Una scelta che ha sortito forti ripercussioni anche su altre vite, in primis su quella di sua sorella Rosa, rifugiatasi provvidenzialmente tra le braccia dello Stato, accettando di entrare nel programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia, insieme al suo fidanzato. Furono gli unici due parenti di Tommaso Schisa a lasciare il quartiere. Poco più che ventenni, erano diventati genitori da pochi giorni, quando tenendosi per mano decisero di compiere quel salto nel buio, consapevoli che la vita di Rosa fosse seriamente in pericolo per effetto di un patto che suo fratello Tommaso strinse con il suo alleato ed amico inseparabile, Michele Minichini ‘o tigre: se uno dei due si fosse pentito, l’altro gli avrebbe ucciso la sorella.
In questo clima è iniziata la nuova vita di Rosa e Vincenzo, lontano dai loro familiari, con una neonata da crescere e completamente ignari di quello che gli avrebbe riservato il futuro. Anche a loro, i familiari fortemente convinti di continuare a seguire il credo camorristico, hanno voltato le spalle, consapevoli che se i due avessero ceduto, incapaci di riuscire a condurre la loro vita lontano da casa e dai loro affetti, anche Tommaso avrebbe ritrattato. I due fratelli, invece, non hanno mai smesso di farsi forza a vicenda e di seguitare a desiderare fortemente che, un giorno, anche la madre si sarebbe unita a loro.
Dal suo canto, Luisa De Stefano ha inizialmente cercato di mantenere un piglio austero e coerente con il suo status di “mamma-camorra”, ma alla fine ha capitolato. Determinante la nascita della seconda nipote che porta il suo stesso nome e che evidentemente spera di vedere crescere lontano dal carcere, un giorno.
Alla fine, il cuore di mamma ha ucciso la boss che teneva in ostaggio la vita di Luisa: una donna che ha deciso di dire addio alla “pazzignana” per privilegiare il ruolo di madre e nonna.