“Forti con i deboli, deboli con i forti”: questa la definizione più appropriata da affrancare agli interpreti della malavita ponticellese che da diversi mesi provano a manifestare l’intenzione di osteggiare il clan De Micco, pur senza mai sfidarli a viso aperto. I De Micco hanno conquistato il controllo del territorio, colmando il vuoto di potere scaturito dall’uscita di scena dei Sarno, collezionando delitti eccellenti. Una leadership poi preservata sfoggiando un potere criminale e capillare, capace di evocare timore e rispetto. Un clan che dispone di un nutrito numero di affiliati e del supporto dei Mazzarella: una serie di certezze che conferiscono ai De Micco una forza militare ed economica ragguardevole, trattandosi di uno dei pochi clan operanti a Ponticelli capace di guardare oltre i proventi degli affari illeciti “tradizionali”, come lo spaccio di stupefacenti e le estorsioni. Un modello di business criminale che strizza l’occhio ai colletti bianchi e mira ad insediarsi in quel genere di affari capaci di fruttare guadagni esorbitanti, senza spargimento di sangue e soprattutto senza lasciare vistose tracce.
Una guerra ad armi impari, quella intrapresa dal ras del “gruppo dell’isolato 17” del rione De Gasperi Salvatore Montefusco, forte dell’appoggio di suo figlio Carmine e di una paranza di giovani, prettamente dediti alle piccole mansioni, come rapina e spaccio, ma tutt’altro che propensi a perdere la vita per combattere una faida di camorra. Anche con il supporto dei clan ostili ai De Micco e ridotti all’osso da omicidi e arresti, Montefusco era consapevole di non essere destinato ad avere la meglio contro quel colosso che si dichiarava intenzionato a voler abbattere. Ciononostante, ha intrapreso tutte quelle azioni che nel gergo camorristico legittimano l’incipit delle ostilità: cortei di moto con le armi in bella mostra nei fortini dei rivali, la richiesta di riscuotere la tangente sui proventi delle attività di spaccio ai gestori delle piazze più redditizie dei rione De Gasperi e dell’intero quartiere, giusto per citare le più clamorose. E per questo motivo era consapevole di rischiare la vita, qualora un commando del clan rivale lo avesse intercettato per strada e ha vissuto gli ultimi mesi da segregato in casa.
Sapeva di rischiare la vita, Montefusco e ha spedito al macero prima due affiliati e poi suo fratello.
Il commando che ha ridotto in fin di vita Vincenzo Arienzo e ferito gravemente Giuseppe Tulipano, al culmine del mancato agguato che lo scorso marzo è sfociato in un incidente stradale, probabilmente, era appostato nei pressi del rione De Gasperi con l’intenzione di stanare lui, il capo del gruppo emergente. In sua assenza, i rivali hanno ripiegato sui due malcapitati di turno. Un atteggiamento opinabile per un camorrista che mira a conquistare lo status di leader maximo del quartiere.
“Debole con i forti, ma forte con i deboli” perché la sua abitazione l’ha lasciata solo quando era necessario minacciare e vessare un tossicodipendente che ha rigirato come un calzino, prima prestandogli dei soldi pretendendo dei tassi d’interesse esorbitanti e poi ripetendo il copione, cedendogli delle dosi di stupefacenti che si è visto costretto a saldare, ancora una volta, a caro prezzo. Picchiato a sangue, minacciato di morte, l’uomo ha denunciato Montefusco padre e figlio, suo fedelissimo braccio destro e lo ha fatto arrestare. Motivo per il quale, l’aspirante boss di Ponticelli, non è stato arrestato per motivazioni riconducibili alla faida scaturita dalla benzina che lui ha gettato sul fuoco sfidando i De Micco, ma per le torture che ha inferto a un “debole”.
L’arresto di Montefusco, tuttavia, è maturato solo dopo il “colpo di grazia” che il clan De Micco gli ha inflitto: l’omicidio di suo fratello Emanuele, 48enne disabile, affetto da diverse patologie, reso invalido da una serie di infarti e di ictus, che dopo essersi lasciato alle spalle i precedenti per spaccio e rapina, si guadagnava da vivere vendendo rotoloni di carta sul marciapiede dove è stato assassinato per consentire ai rivali di colpire quel fratello, aspirante boss di Ponticelli, che consapevole di andare incontro a quella fine che, invece, i rivali hanno imposto a suo fratello per colpire lui, se ne stava rintanato in casa.
I De Micco speravano che almeno dopo l’omicidio del fratello sarebbe uscito allo scoperto e invece ha seguitato a starsene recluso in casa, fino a quando non è arrivato l’arresto, scaturito da quei reati compiuti esercitando il suo potere criminale su un “debole” che ha fornito a Montefusco una grande dimostrazione di forza e coraggio appellandosi e affidandosi alle forze dell’ordine: quello Stato che esiste e che può prontamente stroncare le logiche criminali, se messo in condizione di intervenire.
Anche dopo l’arresto di Montefusco la mattanza contro “i deboli” da parte dei simpatizzanti della fazione che mirava ad osteggiare i De Micco, pur senza aver mai osato impugnare le armi per farlo.
Le due donne a capo dell’impresa di pulizie dedita a lavare le scale dei palazzi del rione, per espresso volere di Montefusco, impongono alle 668 famiglie residenti nell’ex roccaforte dei Sarno di versare dieci euro nelle casse del clan e lasciare un secchio pieno d’acqua fuori la porta delle loro case tutti i venerdì. Un business illecito che frutta circa settemila euro, esorti ai “deboli”, ovvero, alle famiglie residenti nel rione, incapaci di contestare le imposizioni della camorra. Anziani, ragazze madri, famiglie indigenti, disabili, malati. Una delle due donne a capo di questo business, pochi giorni dopo l’omicidio di Emanuele Montefusco ha subito un violento pestaggio per mano di un gruppo di affiliati ai De Micco. Una spedizione punitiva voluta proprio per redarguire quella condotta che la vede gestire proventi illeciti insieme al ras del gruppo dissidente.
Al pari del suo socio in affari, anche la donna non ha battuto ciglio e si è guardata bene dal contestare la furia del clan egemone, ma ha mostrato i muscoli ai “deboli”, anche lei. In quest’ottica, infatti, sarebbe maturato il raid avvenuto la scorsa notte, a ridosso dell’isolato 28 del rione De Gasperi. Un incendio doloso ha distrutto un’automobile, danneggiata anche quella parcheggiata accanto. Nessuno dei due veicoli coinvolti nell’incendio è risultato essere di proprietà di soggetti che orbitano nel contesto malavitoso.
Una spedizione punitiva voluta per redarguire la condotta delle famiglie stanche di subire le imposizioni e le vessazioni della camorra e per le quali, quella banconota da dieci euro, estorta facendo leva sull’appartenenza a un’organizzazione criminale, ricopre un valore ben più elevato. Decine, centinaia di famiglie impossibilitate a garantire una vacanza al mare ai loro bambini e che sono rimaste a Ponticelli per lavorare, sprezzanti delle temperature proibitive, per fronteggiare le tante, troppe vicissitudini della vita quotidiana e che non vogliono consegnare alla camorra quel denaro, frutto del sudore della fronte, nel senso più autentico del termine, solo per sovvenzionare l’ennesima giornata sul gommone al largo di Capri o l’acquisto di un altro accessorio griffato.
Dal loro canto, le donne a capo del business, non vogliono “perdere la faccia” agli occhi delle famiglie che mirano in tutti i modi ad assoggettare alla loro volontà. Quella stessa faccia che hanno lasciato schiaffeggiare e tumefare dai leader del clan egemone, senza battere ciglio.