La tragica scomparsa di un 38enne risucchiato dalle acque del lago di Giacopiane nell’entroterra del Levante di Genova, ha riacceso l’attenzione sul fenomeno delle ‘sabbie mobili’. In tanti si chiedono cosa sono e come ci si difende da queste trappole naturali?
Sono strati di sabbia impregnati di acqua, più o meno alti, depositati dalle acque di di lavamento o dal vento su terreni più solidi. Si formano là dove c’è acqua che risale dal basso verso l’alto, cioè nelle zone paludose, in prossimità dei fiumi, sulle sponde di laghi o del mare.
Possono avere l’aspetto ingannevole di un normale terreno sabbioso, solido, ma quando vi ci si appoggia, acqua e sabbia formano un aggregato instabile, in cui il liquido annulla l’attrito tra i granuli: per questo si sprofonda.
E’ difficile appoggiarsi sul terreno solido sottostante per liberarsi.
La comparsa di sabbie mobili è riconducibile alla liquefazione dei terreni, un fenomeno fisico che si verifica in seguito a uno scuotimento del terreno, causando una brusca perdita di resistenza del sottosuolo.
Il processo di liquefazione coinvolge soprattutto substrati sabbiosi, ma la condizione fondamentale è che questi siano saturi, ossia che i vuoti tra le loro particelle siano completamente riempiti di acqua.
La liquefazione dei terreni è un fenomeno distruttivo che mette a repentaglio la stabilità delle strutture in superficie. Improvvisamente il terreno sotto un’abitazione può trasformi in qualcosa di molto simile alle sabbie mobili.
Ma gli effetti e i rischi non si limitano solo alle infrastrutture e abitazioni. La liquefazione dei terreni può alterare enormemente il paesaggio superficiale. Parte della miscela fangosa potrebbe essere espulsa in superficie, dando origine, per esempio, a vulcanelli di fango. Oppure, la liquefazione potrebbe favorire i fenomeni di collasso lungo i pendii, innescando frane.
Cosa fare se si resta intrappolati
Abbiamo detto di come alcuni strati di sabbia impregnati d’acqua possano, poggiandovisi, in un primo momento sembrare stabili.
In un secondo momento, acqua e argilla però si separano, e la massa solida rimasta aderisce fortemente alla superficie del corpo di chi vi sprofonda. Diventa così difficile liberarsi, ma se è vero che agitandosi la situazione peggiora, non si affonda del tutto: esperimenti di laboratorio, eseguiti da fisici dell’Università di Amsterdam e della Scuola normale superiore di Parigi, hanno mostrato che, quando la sabbia e l’acqua tornano a mischiarsi, la galleggiabilità del fango aumenta e i corpi immersi vengono sollevati di nuovo.
Gli stessi studi hanno dimostrato che il corpo umano ha una densità inferiore a quella delle sabbie mobili e può affondarvi solo per metà del suo volume. E’ però impensabile tirare fuori una persona a forza dalle sabbie mobili, facendola aggrappare a un ramo o una corda: per estrarre un solo piede ci vorrebbe la forza che serve per sollevare un’auto e, per la resistenza, il corpo si spezzerebbe.
Il consiglio per chi si trovasse imprigionato è di liberarsi da tutto ciò che, per il peso, può trascinare a fondo più rapidamente. Poi cercare di muovere leggermente le gambe, per fare sì che l’acqua torni a infiltrarsi tra i granelli di sabbia liberando spazio intorno ai piedi.
A questo punto provare a lasciarsi andare all’indietro, stendersi sul dorso per distribuire meglio il peso e aspettare di essere portati in superficie per galleggiamento. Se ci si riesce, infine, tentare di nuotare lentamente, dirigendosi verso la terraferma.