Non sono destinati a restare in carcere ancora a lungo, Antonio D’Amico, boss fondatore dell’omonimo clan operante nel rione Conocal di Ponticelli e Genny “fraulella”, primogenito di sua sorella Annunziata, la 40enne assassinata il 10 ottobre del 2015, quando ricopriva il ruolo di reggente del clan di famiglia. Proprio i due uomini di casa D’Amico, rispettivamente fratello e figlio della donna-boss assassinata dai De Micco al culmine di una sanguinaria faida per il controllo del territorio, vengono indicati come i due soggetti più accreditati ad inscenare la vendetta.
“La passillona”, questo il soprannome della 40enne, madre di sei figli, pagò con la vita il rifiuto di piegarsi al ricatto dei De Micco che le imposero di versare nelle loro casse una percentuale sui proventi dell’attività di spaccio di droga che gestiva nel Conocal. La notizia del suo assassinio fu accolta con reazioni inconsulte e violente da parte dei fratelli, ma anche del figlio e del marito, che danneggiarono le celle nelle quali erano reclusi e per alcuni di loro fu necessario il ricovero in infermeria.
All’indomani di quel delitto eccellente che ha anche sfatato un tabù, perchè mai prima di quel momento la camorra ponticellese aveva impugnato le armi per uccidere una donna-boss, le strade del quartiere erano blindate. Posti di blocco ad ogni angolo, perquisizioni, controlli: la priorità delle forze dell’ordine era intercettare anzitempo il commando che sarebbe partito dal fortino dei D’Amico per vendicare “la passillona” per evitare che la scia di sangue si allungasse e i toni della faida potessero inasprirsi. In realtà, dal carcere era già stato impartito un ordine preciso: sull’omicidio destinato a vendicare la morte della “passillona” doveva esserci la firma di un uomo nelle cui vene scorre il sangue dei D’Amico.
Antonio D’Amico non sarà tra i primi membri della famiglia a ritrovare la libertà, verrà preceduto dal primogenito della “Passillona” e dal marito della donna-boss, Salvatore “Chernobyl” Ercolani, motivo per il quale sembra altamente probabile che proprio loro cercheranno di portare a compimento l’agognata vendetta.
Secondo quanto riferito da fonti addentrate nel contesto camorristico, gli uomini di casa D’Amico avrebbero già stilato l’elenco delle persone da colpire. I cosiddetti “fraulella” mirano alla carneficina per vendicare la “passillona” e saldare i conti in sospeso con gli interessi. I D’Amico sarebbero intenzionati a colpire tutti coloro che hanno ricoperto un ruolo nell’omicidio, ma la mattanza sarebbe anche un modo per compensare il tempo trascorso inermi e incapaci di inscenare una reazione, perché reclusi. Una condizione di impotenza e immobilità destinata a sortire conseguenze pesantissime.
A differenza dei De Luca Bossa che quando hanno cercato di vendicare l’omicidio di Antonio Minichini hanno optato per incursioni alla cieca, sparando nel mucchio con l’intento di colpire un qualsiasi affiliato della cosca rivale, senza pianificare un’azione indirizzata a un soggetto specifico, i D’Amico sembrerebbero intenzionati a inscenare una strategia completamente diversa, studiata e pianificata. Di tempo per lavorare al piano da portare a compimento per vendicare la morte della lady-camorra, del resto, ne hanno avuto a sufficienza e proprio in questo aspetto va riscontrata la circostanza più allarmante.
Il primo nome cerchiato in rosso è quello della “serpe in seno”, la cognata che ha tradito Annunziata D’Amico, prima intrattenendo una relazione extraconiugale con una figura apicale del clan De Micco e poi aprendogli la porta di casa, consentendogli di disporre di una posizione privilegiata dalla quale monitorare la donna-boss. Tant’è vero che si trovava proprio lì quel sabato mattina, quando Annunziata uscì di casa per recarsi al carcere di Santa Maria Capua Vetere per sostenere un colloquio con il suo primogenito, allontanandosi quindi dal rione, dopo aver trascorso svariate settimane rintanata nel suo bunker, proprio perchè consapevole dei pericoli ai quali era sovraesposta sfidando i De Micco. Sarebbe proprio quello di una delle sorelle Scarallo che ha ricoperto un ruolo cruciale nel favorire l’omicidio della “passillona” il primo nome scalfito nella black list dei D’Amico.
Il secondo bersaglio è prevedibilmente un esponente della famiglia De Martino. Molto dipenderà da quanti e quali membri della famiglia “XX” saranno in libertà quando arriverà il momento della resa dei conti. Tra il boss Antonio D’Amico e Francesco De Martino vi sarebbero anche vecchie acredini. Un tempo, i due erano affiliati e iniziarono a combattere da alleati la crociata contro i De Micco, all’epoca legati ai Cuccaro di Barra, ma Francesco De Martino deciso poi di schierarsi dalla parte dei rivali, in seguito all’omicidio di suo nipote Massimo Imbimbo. Difficilmente il boss Antonio D’Amico potrà ignorare che l’esecutore materiale dell’agguato in cui ha perso la vita sua sorella sia proprio il primogenito di Francesco De Martino, il suo vecchio amico ed alleato. Senza dubbio, il conto più salato da saldare è proprio quello che è rimasto in sospeso da quel giorno, tra i D’Amico e gli “XX”. Tra l’altro, non è affatto un segreto che tra la “passillona” e Carmela Ricci, moglie di Francesco De Martino, non corresse buon sangue. In più occasioni, “donna Lina” era stata brutalmente pestata da Annunziata D’Amico, quando si incontravano nel carcere di Santa Maria Capua Vetere dove erano detenuti i figli di entrambe. Il primogenito della donna-boss del Conocal, il secondogenito della moglie di De Martino. Il fatto che sull’omicidio della rivale ci sia la firma di Antonio De Martino è un dettaglio che non deve assolutamente essere tralasciato, perchè il killer ha anche vendicato l’orgoglio ripetutamente vilipeso della madre, uccidendo la donna che l’aveva vessata e umiliata.
Una serie di fatti meticolosamente intrecciati che concorrono a creare uno scenario esplosivo nel quale potrebbe essere destinato ad avere la peggio anche l’affiliato al clan De Micco che poche ore dopo l’omicidio della “passillona” si recò nel campo rom di Secondigliano per festeggiare insieme agli affiliati detenuti nel vicino carcere, a suon di fuochi d’artificio. Un altro sonoro colpo all’orgoglio che gli uomini di casa D’Amico sono stati costretti a incassare in silenzio.
Una vicenda nella quale l’orgoglio, la vendetta, l’odio, il rancore, giocano un ruolo cruciale che esula dalle dinamiche strettamente riconducibili al controllo del territorio. Uno scenario nel quale un arresto o una scarcerazione possono concorrere a cambiare radicalmente gli equilibri e soprattutto i piani di vendetta.