Un retroscena cruciale che concorre a far luce sul movente dal quale è scaturito l’omicidio della donna-boss Annunziata D’Amico, reggente dell’omonimo clan assassinata il 10 ottobre del 2015, nei pressi della sua abitazione in via al chiaro di luna nel rione Conocal di Ponticelli.
Per l’omicidio di Annunziata D’Amico è stato condannato all’ergastolo il killer Antonio De Martino, ma restano ancora tanti punti interrogativi da chiarire, in primis quelli legati al mandante dell’omicidio.
Allo stato attuale, alla luce di quanto finora emerso in chiave investigativa, l’omicidio della “passillona” sarebbe stato deliberato per punirne il diniego di corrispondere ai De Micco una tangente sui proventi della prolifera attività di spaccio di stupefacenti che capeggiava nel suo rione, ma esiste anche un movente di carattere personale che potrebbe concorrere a ridurre l’intera vicenda a un regolamento di conti che esula dallo scenario camorristico tra “la passillona” e la famiglia De Martino. In più occasioni, quando si recava presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere dove era recluso il primo dei suoi sei figli per sostenere i colloqui, Annunziata D’Amico avrebbe incontrato Carmela Ricci, madre di Antonio “XX”, ma anche di Giuseppe De Martino, all’epoca detenuto proprio in quello stesso istituto penitenziario in cui era recluso il figlio della D’Amico. In più circostanze, la donna-boss del Conocal avrebbe malmenato la madre degli “XX”. Un fatto che di per sé sintetizza in maniera eloquente il clima di odio atavico che regnava tra le due fazioni entrate in contrasto per il controllo degli affari illeciti a Ponticelli, ma che soprattutto ben spiega le motivazioni che hanno spinto le ostilità ben oltre gli scenari strettamente riconducibili alle logiche camorristiche.
Anche la mattina in cui è stata uccisa Annunziata D’Amico era di ritorno dal carcere di Santa Maria Capua Vetere dove era recluso il primo dei suoi sei figli. Nel corso del processo si è a lungo dibattuto sul fatto che quel giorno anche Carmela Ricci e suo figlio Antonio – poi condannato all’ergastolo in quanto esecutore materiale dell’omicidio di Annunziata D’Amico – avessero notato la presenza della donna-boss in parlatorio e che in quel frangente Antonio “XX” avrebbe avuto il tempo di pianificare l’agguato, anche per vendicarsi delle continue vessazioni subite dalla madre.
La verità, però, potrebbe essere un’altra: a tradire Annunziata D’Amico potrebbe essere stata una delle sue cognate, una delle sorelle Scarallo. Oltre a Anna ‘a cipolla, alias Anna Scarallo, moglie del boss Antonio D’Amico, nel rione Conocal vivono anche altre due donne di casa Scarallo che hanno sempre ricoperto un ruolo tutt’altro che trascurabile nel contesto malavitoso.
A differenza della “passillona” che non voleva saperne di piegarsi alle imposizioni dei De Micco e fermamente intenzionata a preservare il pieno controllo del suo rione, le altre donne del clan erano più ben disposte nei confronti dei rivali e avevano manifestato la piena intenzione di entrare in affari con loro, confermando la volontà di versare nelle casse dei “Bodo” parte dei proventi dell’attività di spaccio. In quel clima, Annunziata era diventata un ostacolo ingombrante che ostruiva un’armonica e conveniente convivenza per entrambe le fazioni, agevolata anche da una relazione extraconiugale sulla bocca di tutti, quella nata proprio tra una delle sorelle Scarallo e una figura di primo ordine del clan De Micco che era solito pernottare nel Conocal nell’appartamento della sua concubina, proprio come accadde la notte tra il 9 e il 10 ottobre del 2015. Aveva trascorso la notte nel fortino dei rivali e aveva avuto modo di apprendere in tempo reale che “la passillona” aveva lasciato il suo bunker: un vantaggio che i De Micco hanno sfruttato senza esitazioni riuscendo a portare a compimento l’agguato che ha eliminato la donna-boss, reggente del clan D’Amico e che al contempo ha messo fine alla faida per il controllo del territorio.
In quel periodo “la passillona” sapeva di essere finita nel mirino dei rivali e per questo se ne stava rintanata nella sua abitazione. I De Micco riuscirono a stanarla in una delle rare occasioni in cui abbandonò il suo bunker. La donna-boss fu giustiziata dal killer Antonio De Martino proprio quando tornò nel suo rione, dopo aver sostenuto il colloquio in carcere con il suo primogenito. Lo stesso carcere in cui si trovava anche il suo sicario fino a pochi minuti prima. Antonio “XX” aveva accompagnato la madre al colloquio in carcere con suo fratello per cercare di crearsi un alibi o l’omicidio della D’Amico è stato tutta opera sua?
Nei rioni di Ponticelli regna la certezza che i De Micco continuano a provvedere al mantenimento dei detenuti del clan De Martino passandogli duemila euro al mese e non hanno rotto l’alleanza neanche all’indomani del tentato omicidio del ras Ciro Naturale, proprio perchè temono che così facendo possano indurre Antonio De Martino, ormai sicuro di essere condannato al carcere a vita, a collaborare con la giustizia. Un pentimento temuto e da scongiurare a ogni costo: “XX” potrebbe rivelare agli inquirenti retroscena e misfatti che potrebbero aggravare la posizione delle figure apicali del clan De Micco.
Del resto, in merito alla relazione tra una donna imparentata con i D’Amico e una figura di primo ordine del clan De Micco hanno riferito anche diversi collaboratori di giustizia, consapevoli di non essere al cospetto di una notizia di mero gossip, ma di un dettaglio cruciale che rischia di sortire pesanti conseguenze anche in chiave futura.
Gli stessi fratelli D’Amico, consapevoli del fatto che il clan stesse covando “una serpe in seno”, all’indomani dell’omicidio di Annunziata manifestarono viva apprensione per le sorti delle altre sorelle. Una paura covata anche dalle stesse donne della famiglia D’Amico che allontanarono le ombre dei dubbi e dei sospetti inscenando dei violenti pestaggi ai danni di alcune persone residenti nei pressi dell’abitazione della “passillona”, accusate di essere le artefici della “filata” al killer. Un escamotage utile a dimostrare in maniera plateale la buona fede delle interpreti della camorra in gonnella, tutt’altro che intenzionate a mostrarsi sospettose nei riguardi della vera “traditrice”, consapevoli che in quel frangente anche le loro vite erano esposte a un serio e concreto pericolo.
Annunziata D’Amico avrebbe pagato con la vita le dirette conseguenze di quel carattere austero, irriverente, intransigente, severo e spietato. Una boss incapace di chinare il capo e sottostare alle imposizioni dei rivali, malgrado la snervante consapevolezza che i De Micco fossero destinati ad avere la meglio, anche perché erano entrati nelle grazie delle altre donne del clan. Un epilogo annunciato e bramato da entrambe le fazioni che auspicavano di trovare un nuovo accordo per la gestione dei proventi degli affari illeciti, ma a frapporsi tra le intenzioni e i fatti concreti c’era lei, la donna-boss del Conocal. osannata dai giovani della sua paranza come una divinità, ma vista tutt’altro che di buon occhio dalle donne di casa che intendevano entrare in affari con i De Micco. Tutto ad un tratto, anche tra le mura amiche “la passillona” era diventata una figura ingombrante.
In questo clima matura l’incursione armata del killer Antonio “XX” De Martino che mettendo la firma su quel delitto eccellente ha consacrato l’egemonia del suo clan d’appartenenza e ha riscattato l’orgoglio di sua madre, ripetutamente vilipeso dalle percosse di quella stessa donna tramortita al suolo per effetto della pioggia di proiettili che gli ha scaraventato contro.
In seguito alla dipartita della donna-boss, tra i due clan subentrò l’armonico equilibrio che aleggiava sul rione già da tempo e che per certi versi aveva concorso ad introdurre quell’agguato che gli uomini di casa D’Amico, fin dal primo istante, dalle celle nelle quali sono reclusi, hanno giurato che non è destinato a restare impunito.