Nel rione De Gasperi di Ponticelli, le vecchie leve dei Sarno, tornate in libertà dopo aver scontato una lunga pena detentiva, sono tornate in affari, probabilmente animate dal prioritario intento di riaffermarsi sulla scena camorristica locale da leader. Tra sogno e realtà s’interpone il clan attualmente egemone a Ponticelli: i De Micco, un’organizzazione nata dal nulla, frutto dell’intuizione di Marco De Micco, un giovane cresciuto insieme ai figli dei Sarno, gli ex boss del quartiere che hanno dominato incontrastati la scena camorristica locale per circa un trentennio, poi passati dalla parte dello Stato. Da lì il punto di non ritorno che ha decretato la disfatta degli attuali ras del rione De Gasperi, proprio per effetto delle minacce e delle estorsioni indirizzate a Carmine Sarno detto Topolino, fratello degli ex boss di Ponticelli. Un pentimento che al contempo ha creato un vuoto di potere, colmato dai De Micco, gli ultimi arrivati sulla scena camorristica ponticellese che però hanno dimostrato di possedere la tempra camorristica necessaria per riscrivere la storia e imporre l’incipit di una nuova era. Quella fatta dei tatuaggi che suggellano l’affiliazione quale legame indissolubile ed eterno, ma anche di azioni brutali, efferate, spregiudicate.
Accadeva mentre “Zamberletto” e “Giovannone” erano detenuti, entrambi chiamati a scontare lo stesso reato, insieme al gruppo che aveva cercato di imporsi nell’era post Sarno a suon di estorsioni e azioni intimidatorie, mentre fuori dal carcere i De Micco riuscivano a conquistare il controllo del territorio. Non senza spargimento di sangue. Non senza compiere delitti eccellenti.
Quando sono tornati in libertà, “Zamberletto” e “Giovannone”, si sono visti costretti a fare i conti con “il nuovo che avanza” che a Ponticelli è sinonimo di “Bodo”: un nomignolo che nel resto del mondo è associato al personaggio di un fumetto, mentre a Ponticelli riconduce a Marco De Micco e agli affiliati al suo clan. Un ragazzo scaltro e cinico che da pusher dei Cuccaro di Barra è riuscito a conseguire una scalata al potere senza precedenti che nel giro di pochissimo tempo lo ha portato a diventare il boss di Ponticelli, attorniato da un plebiscito di giovani spregiudicati e affamati di potere. Uno dei boss più temuti e rispettati, al pari del suo clan, un’organizzazione che dispone di un vero e proprio esercito capace di inscenare agguati che a tutti gli effetti risultano essere vere e proprie dimostrazioni militari per la chirurgica precisione che le contraddistingue, tanto da non lasciare dubbi alle indagini degli investigatori, quando su un delitto c’è la firma di quel commando infallibile. Una sorta di biglietto da visita, un marchio distintivo che ha contribuito a rendere i De Micco l’organizzazione più rispettata e temuta. Un clan che dispone di una forza economica importante, oltre che di un alleato prezioso e autorevole, come i Mazzarella di San Giovanni a Teduccio.
Una forza incrollabile, un nemico di tutto rispetto del quale, però, il gruppo emergente del rione De Gasperi, sotto la guida di “Zamberletto”, sembra non avere timore. Lo dimostrano le reiterate azioni provocatorie, finalizzate a svilire e ridimensionare il potere del clan attualmente egemone.
Poi, la rocambolesca battuta d’arresto.
All’indomani dei fatti dello scorso 29 marzo che hanno ridotto in fin di vita uno dei gregari del gruppo di “Zamberletto”, al culmine del mancato agguato sfociato in un incidente stradale, il ras del rione si è rintanato nel suo bunker, battendo in ritirata, a riprova di quanto sia stato forte il colpo subito e che ha ridotto in fin di vita il 23enne Vincenzo Arienzo e ha ferito in maniera meno grave il 31enne Giuseppe Tulipano. A distanza di due mesi da quell’incidente, dietro il quale si cela la nitida intenzione del commando che era appostato a bordo di quel suv di colpire mortalmente qualche affiliato del gruppo antagonista, il ras del rione De Gasperi inizia a rialzare la testa, probabilmente galvanizzato dal fatto che Arienzo – dopo circa due mesi – è ritornato vigile e cosciente e pertanto può essere dichiarato fuori pericolo.
Un evento che avrebbe galvanizzato “Zamberletto” che scampato il pericolo di dover piangere il primo affiliato gettato in pasto alla morte per servire il suo gruppo, sarebbe già tornato alla ribalta, stando a quanto segnalato alla nostra redazione dagli abitanti del rione De Gasperi, preoccupati anche dall’alleanza tra “il ras della 17” e quello dell’isolato 15: “Giovannone”, alias Giovanni De Stefano, tornato nel rione di recente, in quanto costretto a scontare una condanna superiore rispetto ai suoi amici e sodali, condannati per lo stesso reato – tra i quali figura anche “Zamberletto” – perché mentre era in carcere ha aggredito un agente penitenziario.
Giovanni De Stefano, fratello della “pazzignana” Luisa De Stefano, è tornato in affari con il vecchio amico/sodale del rione: un’alleanza annunciata sui social network, pubblicando nelle stories di Instagram una foto che ritrae il nipote di “Giovannone” – secondogenito della sorella Antonella De Stefano, arrestata insieme al marito e al primogenito per l’attività di spaccio decennale capeggiata nell’isolato 10 dello stesso rione – insieme al figlio di “Zamberletto”. In nuovo che avanza, sotto la sagace ala protettrice della vecchia guardia. Un’alleanza che consolida il potere del ras della 17 nel rione, seppure – stando ai racconti dei residenti in zona – Giovannone sembrerebbe principalmente orientato a guardarsi le spalle.
La casa del ras, ubicata al piano terra dell’isolato 15, sarebbe letteralmente blindata grazie al supporto di un sistema di videosorveglianza all’avanguardia che disporrebbe anche di videocamere mobili e in grado di presidiare l’intera zona. Dalle strade che cinturano al rione, fino alle intercapedini più reconditi e oscure tra le quali potrebbe celarsi un nemico pronto ad entrare in azione.
Perchè il fratello della “pazzignana” sente il bisogno di monitorare costantemente e in maniera così certosina l’intera area che costeggia il rione?
La risposta più prevedibile e avventata è quella che riconduce al timore di una possibile vendetta trasversale legata al pentimento di suo nipote Tommaso Schisa, primogenito di sua sorella Luisa, ma le motivazioni reali potrebbero non essere così scontate.