A quasi tre anni di distanza dall’omicidio del 45enne Salvatore De Martino, soprannominato cap’ e guerr’, avvenuto nell’estate del 2021 nel rione De Gasperi di Ponticelli, emergono retroscena che potrebbero concorrere a chiarire il movente e lo scenario in cui è maturato uno dei delitti eccellenti che ha contribuito a consacrare l’egemonia dei De Micco a Ponticelli contestualmente alla scarcerazione di Marco De Micco, avvenuta a marzo del 2021.
Quando il boss fondatore dell’omonimo clan è tornato a Ponticelli, dopo aver scontato una pena detentiva di circa dieci anni, il quartiere era dilaniato dalla faida in corso tra i De Martino, i reduci del clan De Micco costretti a capitolare in seguito al blitz che a novembre del 2017 sancì la fine della prima era dei “bodo” e il cartello costituito dai De Luca Bossa-Minichini-Casella, intenzionati a preservare il controllo del territorio. Marco De Micco rimase a guardare, fiutando in quello scenario le condizioni propizie per tornare alla ribalta senza spargimento di sangue.
E così fu.
La sua lettura degli eventi trovò riscontro nella realtà e portò a una serie di arresti che favorirono l’ascesa del suo clan. Nel periodo estivo, in seguito al rastrellamento che aveva concorso a indebolire notevolmente le compagini entrate in contrasto, iniziò a mostrarsi in pubblico. La sua ritrovata presenza, unitamente alla politica criminale che stava imponendo senza mezzi termini, furono mal recepite dai reduci della fazione antagonista che non intendevano affatto cedergli il passo e favorire la sua ascesa, senza neanche tentare una controffensiva.
In questo clima matura il duplice agguato avvenuto in pieno giorno, nel corso del pomeriggio del 12 agosto del 2021, nei pressi dell’Isolato 23 del rione De Gasperi di Ponticelli – in quel momento storico, sotto le direttive di Luca Concilio, affiliato al clan De Luca Bossa – e che è costato la vita a Salvatore De Martino, mentre il 49enne Salvatore Scarpato rimase gravemente ferito. De Martino morì poco dopo l’arrivo al pronto soccorso dell’ospedale Villa Betania, mentre Scarpato fu trasportato all’ospedale del Mare, in gravi condizioni, ma non in pericolo di vita. Quando i parenti di De Martino giunsero al nosocomio e appresero la notizia del decesso, devastarono la struttura ospedaliera.
Entrambi pregiudicati con precedenti per spaccio di stupefacenti e legati al gruppo riconducibile ai De Luca-Bossa, forse proprio per questo, fin da subito, inquirenti e organi di stampa hanno dedotto che quell’agguato potesse rappresentare la punizione inflitta dal clan rivale dopo aver incassato il diniego di corrispondere una tangente sui proventi derivanti dall’attività di spaccio di droga, come già accaduto in passato, ma molto probabilmente, l’omicidio di De Martino è scaturito da ben altre dinamiche.
Secondo quanto emerso di recente, “cap’ e guerr'”, mirava a pianificare un agguato per uccidere il boss Marco De Micco quando, sottoposto all’obbligo di firma, si recava a firmare nella stazione dei carabinieri di Ponticelli, in via della Villa Romana, di fronte al rione Lotto O, fortino del clan De Luca Bossa al quale era affiliato e che mirava a rilanciare, eliminando la figura apicale del cartello antagonista per conquistare il controllo del territorio. Bramava di diventare il nuovo leader della camorra di Ponticelli e pertanto i rivali avrebbero deciso di stroncare sul nascere i suoi piani criminali per lanciare un monito perentorio ai rivali: i De Micco, forti della guida del leader ritrovato, non si sarebbero fermati davanti a niente e nessuno. Un monito rilanciato in maniera ancor più perentoria appena due mesi dopo, all’indomani dell’esplosione dell’ordigno nel cortile di casa De Micco, dove fino a pochi minuti prima la figlia del boss giocava insieme alle cuginette. Un raid che ha decretato la condanna a morte del presunto esecutore: Carmine D’Onofrio, 23enne figlio naturale del boss Giuseppe De Luca Bossa. Proprio per l’omicidio del 23enne, il boss Marco De Micco è stato tratto in arresto, insieme agli altri affiliati accusati di aver partecipato alle fasi organizzative ed esecutive del delitto. Le porte del carcere si sono pertanto riaperte per il boss fondatore del clan De Micco, appena un anno dopo il suo ritorno a Ponticelli. Un tempo che il boss avrebbe speso per imporre l’egemonia del suo clan e riappropriarsi del controllo degli affari illeciti, non disdegnando di deliberare la morte di personaggi scomodi che rischiavano di ostruire i suoi piani. Questo lo scenario che andrebbe a configurarsi, qualora il movente legato all’omicidio di Salvatore De Martino dovesse trovare un effettivo riscontro anche in chiave investigativa.