L’Alta Corte inglese ha riconosciuto come “non infondate” le argomentazioni della difesa del fondatore di WikiLeaks Julian Assange sul timore di un processo “non giusto” negli Usa.
L’Alta Corte di Londra ha concesso un ulteriore appello a Julian Assange contro l’estradizione negli Usa dove rischia una condanna a 175 anni di carcere in base alle accuse di aver diffuso documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato contenenti rivelazioni imbarazzanti, inclusi crimini di guerra commessi fra Afghanistan e Iraq. I giudici britannici, dopo aver aperto il 26 marzo uno spiraglio per la battaglia di libertà del giornalista australiano, rovesciando il no opposto in prima istanza all’ammissibilità di un estremo appello da parte della difesa di Assange, hanno stabilito che le garanzie americane sul suo caso erano insoddisfacenti. La Corte dunque non è soddisfatta delle assicurazioni vincolanti preventive fornite da Washington. Per la difesa, gli Usa non hanno fornito garanzie di un “giusto processo”.
L’avvocato Edward Fitzgerlad ha parlato in aula di risposte “inadeguate”.
A marzo, l’Alta Corte aveva provvisoriamente concesso ad Assange, 52 anni, il permesso di ricorrere in appello per tre motivi, ma ha dato agli Stati Uniti l’opportunità di fornire garanzie soddisfacenti che non avrebbero richiesto la pena di morte e gli avrebbe permesso di cercare di fare affidamento sul diritto alla libertà di parola del Primo Emendamento in un processo. In una breve sentenza, due giudici senior hanno affermato che le osservazioni degli Stati Uniti non erano sufficienti e hanno affermato che avrebbero accolto l’appello. Da Washington avrebbero dovuto assicurare che l’attivista non sarà condannato a morte negli Usa e potrà invocare la tutela sulla libertà di espressione sancita dal Primo Emendamento della Costituzione americana. Quest’ultimo rappresenta un nodo nella vicenda giudiziaria, in quanto i sostenitori di Assange, temendo un ingiusto processo, non si sentono affatto tutelati in merito: come aveva dichiarato la settimana scorsa in una conferenza stampa Kristinn Hrafnsson, il giornalista d’inchiesta a capo di Wikileaks, le autorità statunitensi si sono limitate a dichiarare che l’attivista lo potrà “chiedere”, ma che spetta a una Corte Usa non alla pubblica accusa concederlo o meno.