Le indagini che all’alba di martedì 14 maggio hanno portato all’arresto di cinque persone e al sequestro di diversi beni pari a circa 3,5 milioni di euro, tra i quali spicca la rinomata pizzeria ”Dal presidente” nel cuore del centro storico di Napoli, hanno preso il via in seguito alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Gennaro De Tommaso, alias Genny ‘ a carogna. Esponente del tifo organizzato partenopeo, De Tommaso conquistò le pagine dei quotidiani nazionali e internazionali in occasione della finale di Coppa Italia che si disputò a Roma, a maggio del 2014, tra Napoli e Fiorentina. Prima della partita, nell’ambito degli scontri che avvennero tra ultras romanisti e napoletani, un giovane tifoso napoletano, Ciro Esposito, rimase gravemente ferito da un colpo di pistola e poi morì dopo 52 giorni di agonia all’ospedale Gemelli di Roma.
La partita iniziò con circa 45 minuti di ritardo per le forti proteste da parte della tifoseria azzurra che chiedeva alla squadra di non scendere in campo in segno di rispetto per il giovane tifoso in fin di vita. La situazione fu sedata proprio dalla mediazione di Genny ‘ a carogna che secondo i media fu artefice di una trattativa con i dirigenti della società. In quel frangente fece parlare di lui soprattutto per la scritta gialla che campeggiava sulla sua t-shirt nera che indossava: “Speziale libero”. Chiaro il riferimento all’ultras siciliano accusato di aver ucciso l’ispettore Raciti in circostanze analoghe a quelle che portarono al ferimento di Ciro Esposito. A partire da quel momento, “Genny ‘a carogna” non ha mai smesso di figurare sui giornali, anche e soprattutto per il suo coinvolgimento nelle dinamiche camorristiche napoletane. De Tommaso fu in affari anche con i De Micco di Ponticelli: poche settimane dopo i fatti dell’Olimpico, il nome di Genny ‘a carogna torna in auge perché figura nei verbali di un collaboratore di giustizia. A tirarlo in ballo è Domenico Esposito, ex affiliato al clan De Micco nell’ambito di dichiarazioni volte a far luce sul business dello spaccio di droga controllato dal suo clan d’appartenenza a Ponticelli.
«La droga la compravamo noi a Napoli, da tale Genny ‘a carogna che dovrebbe essere di Forcella. Per la consegna — continua il pentito — era utilizzata una Renault Scenic modificata, che ci veniva lasciata parcheggiata con le chiavi presso il cimitero di Ponticelli. Noi mandavamo a ritirare la macchina che poi restituivamo. Era Genny ‘a carogna a utilizzare la Renault Scenic».
A partire da quel momento, al nome di Gennaro De Tommaso verranno associati una serie di aneddoti, accuse, fatti accertati e leggende metropolitane che convergono in un finale inaspettato: la sua decisione di collaborare con la giustizia a marzo del 2019, a tre anni di distanza dall’arresto per traffico internazionale di droga.
In veste di collaboratore di giustizia, tra le prime dichiarazioni rese alla magistratura, figurano proprio quelle che riconducono la pizzeria ‘dal Presidente’ ad esponenti della criminalità organizzata e che hanno consentito agli inquirenti di mettere la firma sull’operazione odierna.
De Gennaro ha ricostruito la storia di uno dei locali più rinomati del centro storico partenopeo che deve il suo nome al fatto che il primo proprietario, Ernesto Cacialli, preparò una pizza all’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, durante un viaggio a Napoli. In quel momento storico era uno dei soci della pizzeria Di Matteo.
“Successivamente ne uscì a seguito di una controversia fondando la pizzeria “il Presidente‟. – racconta De Tommaso – Quando Ernesto morì la pizzeria fu rilevata dal figlio Vincenzo. Questi aveva una difficoltà economica tant’è che venne anche da me a chiedere 30.000 euro che non potetti dargli, e si rivolse a Di Caprio per soddisfare questa sua necessità che, in corrispettivo, entrò a far parte della pizzeria come socio. Successivamente essendo il Cacialli cocainomane cedette le sue quote residue al Di Caprio che è rimasto l’unico proprietario della pizzeria anche se non so se sia il formale intestatario della società.”
De Tommaso specifica che Di Caprio è il cognato di Vincenzo a’ Miseria, affiliato al clan Contini.
Le dichiarazioni rese dall’ex ultrà del Napoli hanno trovato pieno riscontro in chiave investigativa.
Determinanti anche le dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia, in primis Salvatore Giuliano, ma anche l’acquisizione di dati ed informazioni che hanno confermato che la rinomata pizzeria del centro storico fosse riconducibile a esponenti del clan Contini.
Dagli accertamenti incrociati degli investigatori è emersa una vistosa incompatibilità con i beni di lusso nella disponibilità del Di Caprio, il quale doveva ritenersi verosimilmente intestatario fittizio delle attività ristorative indicate, invece riconducibili al clan Contini. Allo stesso modo, sulla scorta dei dati e delle informazioni acquisite, la Guardia di Finanza ha effettuato un’analisi patrimoniale delle persone fisiche degli indagati e dei rispettivi nuclei familiari. Da questi controlli è emersa una vistosa sproporzione tra i redditi dichiarati ed il tenore di vita ostentato.
Un altro contributo rilevante è stato fornito dalle intercettazioni. Gli indagati, temendo di essere intercettati, hanno adottato, nel tempo, particolari, come l’utilizzo di un linguaggio cifrato e di parole in codice, ma anche la riduzione dei contatti telefonici, il frequente cambio di schede telefoniche. Dall’ascolto delle intercettazioni si coglie non solo il contesto criminale in cui si
muovono i vari protagonisti, ma anche il contenuto specifico delle singole azioni criminose e il ruolo ricoperto da ciascuno degli indagati.
L’ultimo tassello che ha completato il mosaico investigativo è quello fornito dai collaboratori che hanno militato nel clan Contini, ma anche in fazioni camorristiche alleate o contrapposte e che hanno avuto modo di confrontarsi e realizzare affari illeciti proprio con i soggetti arrestati.
Salvatore Giuliano, in particolare, racconta ai magistrati che Massimiliano Di Caprio, alias ‘a capretta, aveva fondato una società con un soggetto appartenente alle forze dell’ordine, sia per la Pizzeria che per altri punti commerciali che
aveva aperto; in particolare un negozio distributore di bevande ed altri punti vendita sempre di pizzeria e bevande.
“Tutto il quartiere sa di questa società e, quindi, immagino che la società sia regolare”, afferma Giuliano riferendosi al coinvolgimento di un poliziotto, il cui nome figura tra quello delle cinque persone tratte in arresto.