La morte di Ciro Esposito, giovane tifoso del Napoli ucciso da un colpo di pistola sparato da un ultras romano, Daniele De Santis, fu un fatto che sconcertò l’intero mondo sportivo e non solo.
Il 3 maggio 2014, allo stadio Olimpico di Roma era in programma la finale di Coppa Italia di calcio tra Fiorentina e Napoli. Poche ore prima dell’inizio della partita, un corteo di tifosi napoletani percorre viale di Tor di Quinto in direzione dello stadio Olimpico, scortato dalla polizia. All’improvviso, vengono sparati sette colpi di pistola e tre ultrà napoletani cadono a terra. La situazione degenera: migliaia di persone incappucciate assaltano le forze di polizia e distruggono due auto e un blindato. A terra rimane Ciro Esposito, tifoso napoletano di 31 anni, le cui condizioni appaiono subito gravissime. A sparare, un ultrà romanista, Daniele De Santis, 48 anni, che nel 2004 fece sospendere un derby perché diffuse la notizia (rivelatasi poi falsa) che la polizia aveva travolto e ucciso un ragazzino fuori dall’Olimpico. I disordini non si placano, ma si decide di dare comunque di disputare la partita. Nonostante gli scontri la finale si giocò comunque, ma vi furono grosse polemiche per la trattativa tra la polizia e i tifosi del Napoli, tra cui Genny a’ Carogna, che indossava la maglietta “Speziale libero” (Speziale è l’ultrà del Catania condannato per l’assassinio dell’ispettore capo di polizia Filippo Raciti durante il derby Catania-Palermo del 2 febbraio 2007).
Il 6 maggio De Santis viene accusato di tentato omicidio, detenzione illegale di armi e rissa, a causa del pestaggio subito viene ricoverato al Policlinico Gemelli, dove si trova anche Esposito. Quest’ultimo subisce numerosi interventi, ma il 25 giugno muore. Gli inquirenti continuano ad indagare su quanto accaduto fuori dall’Olimpico, e confermano che l’unico responsabile della morte di Ciro Esposito è Daniele De Santis, che confessa: “Mi sono trovato nel mezzo di una rissa, ho avuto paura e ho sparato. Purtroppo un ragazzo è morto, ma io non volevo uccidere”. Ciro Esposito muore dopo 53 giorni di agonia nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Gemelli di Roma, dove era ricoverato. Le sue condizioni si erano improvvisamente aggravate dopo svariati interventi chirurgici che avevano fatto sperare in un miglioramento. Cosciente quasi fino all’ultimo, era poi entrato in coma irreversibile. Esposito è morto “per insufficienza multiorganica non rispondente alle terapie mediche e di supporto alle funzioni vitali”, precisò Massimo Antonelli, direttore del Centro rianimazione del Gemelli, che espresse, a nome di tutto il reparto, “profondo cordoglio e vicinanza ai genitori di Ciro in un momento di dolore per la perdita del proprio figlio”.
Antonella Leardi, la mamma di Ciro, fin dal primo istante, ha lanciato appelli finalizzati a fermare e condannare gli atti di violenza. Ha lottato fino all’ultimo per difendere suo figlio. Piccola di statura, tanto che Ciro la chiamava “la nanetta”, e con una grande dignità, ha colpito l’Italia per la forza con cui ha affrontato gli ultimi giorni di vita del figlio e colpisce ancora per il coraggio con cui continua a promuovere messaggi educativi ed iniziative benefiche nel ricordo di suo figlio Ciro, al quale ha intitolato un’associazione.
Dopo un lungo processo, l’ex ultrà romanista viene condannato dalla terza Corte d’Assise di Roma a 26 anni di reclusione e ad un risarcimento di 140mila euro alla famiglia Esposito.
Nel 2018, la Cassazione ha confermato la condanna a 16 anni di reclusione nei confronti dell’ultrà romanista Daniele De Santis. La Suprema Corte ha infatti respinto il ricorso di De Santis contro il verdetto d’Assise di appello che gli aveva già ridotto la condanna da 26 a 16 anni di carcere. Nella sua requisitoria la Procura della Cassazione aveva chiesto di non accogliere la richiesta dei legali di De Santis di riaprire il caso nel tentativo di ottenere un ulteriore sconto di pena.