Verrà sottoposto a un intervento chirurgico a un ginocchio nel corso della giornata odierna, lunedì 29 aprile, Antonio Meo, il 52enne gambizzato in strada a Ponticelli lo scorso sabato 27 aprile. Le sue condizioni, fin da subito, non sono apparse gravi: il fatto stesso che chi gli ha sparato abbia puntato l’arma dritto agli arti inferiori palesa l’intenzione di non uccidere, ma di inscenare un tipico avvertimento di matrice camorristica.
Seppure il 52enne non risulti inserito in nessuna organizzazione camorristica operante sul territorio, continuano ad emergere dettagli e vincoli di parentela che potrebbero contribuire a chiarire lo scenario in cui è maturato l’agguato in cui è rimasto ferito. Antonio Meo è il fratello minore di Vincenzo Meo, autista del boss Andrea Andreotti alias ‘o cappotto, ex boss di Ponticelli che negli anni ’80 entrò in contrasto con ‘o sindaco, Ciro Sarno, per il controllo degli affari illeciti. Una faida che culminò nella “strage del bar Sayonara”, una mattanza ordinata dal clan Sarno ed eseguita dai sicari del clan Aprea che portò alla morte di quattro persone estranee alle dinamiche camorristiche e di due affiliati al clan di Andreotti, tra i quali anche Vincenzo Meo. Da quest’associazione di fatti e persone emerge un dettaglio alquanto suggestivo: Antonio Meo è stato gambizzato non molto distante dal luogo in cui avvenne la strage in cui perse la vita anche suo fratello Vincenzo. Non a caso, nella piazzetta Egizio Sandomenico è stata allestita un’opera d’arte in memoria delle quattro vittime innocenti della strage avvenuta l’11 novembre del 1989.
Antonio Meo è anche lo zio di Giuseppe Damiano, 22enne affiliato al clan De Luca Bossa e membro del commando che nel corso dell’estate 2022 seminò il panico in viale Margherita esplodendo una raffica di colpi di mitraglietta ad altezza d’uomo per almeno 60 metri. Una delle due motociclette utilizzate dai quattro membri del commando risultò intestata proprio alla sorella di Antonio Meo, nonché madre di Giuseppe Damiano. Le immagini delle videocamere della zona diedero un contributo cruciale per consentire agli inquirenti di identificare il 22enne e gli altri membri del gruppo di fuoco che inscenò quell’azione eclatante per colpire i rivali del clan De Micco, all’indomani della scarcerazione di Christian Marfella. I tatuaggi in bella mostra sfoggiati da Damiano, unitamente alla sua stazza fisica e la borsello che era solito indossare, consentirono agli inquirenti di inchiodarlo alle sue responsabilità.
Un vincolo di parentela che Meo avrebbe ostentato in più circostanze, rimarcando con una certa fierezza lo spessore criminale manifestato dal giovane nipote rendendosi autore di un raid così eclatante. Un dettaglio che conferma la vicinanza di Meo al cartello costituito dai Minichini-De Luca Bossa-Casella e che potrebbe trovare un ulteriore riscontro nel raid che ha subito. Secondo quanto emerso dalle testimonianze dei cittadini, negli ultimi tempi orbitava nella sfera dei De Micco e probabilmente questo può aver indispettito “i vecchi amici”, seppure prende sempre più forma l’ipotesi che quegli spari siano scaturiti dal diniego di Meo di corrispondere una tangente sui proventi delle attività illecite da lui gestite. Qualora questa ipotesi trovasse effettivo riscontro in chiave investigativa, resterebbe da capire chi ha avanzato quella richiesta. Uno scenario che pertanto potrebbe concorrere a chiarire l’evoluzione degli equilibri camorristici, sempre più mutevoli negli ultimi tempi, tra le strade di Ponticelli.