Sono finiti in carcere con l’accusa di estorsione aggravata dallo stampo mafioso ai danni di un imprenditore edile di Tortoreto cinque persone di età compresa tra i 21 e i 49 anni, quattro uomini e una donna.
L’operazione, denominata “Gomorra truentina”, è scattata lo scorso ottobre a Martinscuro, comune della provincia di Teramo, in Abruzzo, dove da diverso tempo vivevano alcuni dei destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare. Erano stati trasferiti nel comune abruzzese quando erano finiti nel programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia e ai loro familiari, ma avrebbero comunque continuato ad adottare una condotta in netto contrasto con la decisione di dissociarsi dalle logiche criminali e pertanto sono nuovamente finiti nei guai.
L’operazione è stata condotta dalla Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila, che ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico dei cinque napoletani, due incensurati e tre pregiudicati, eseguita lo scorso 13 ottobre dai Carabinieri del comando provinciale di Teramo e della compagnia di Alba Adriatica con il sostegno attivo del nucleo cinofilo ed elicotteri dell’Arma di Pescara.
L’indagine ha preso il via dalla denuncia presentata da un imprenditore di Tortoreto, finito al centro delle minacce estorsive del gruppo di malviventi a causa delle sue difficoltà economiche. Le dichiarazioni rese agli inquirenti hanno consentito di ricostruire quello che stava accadendo e di accertare che l’imprenditore fosse vittima di ritorsioni, minacce di morte, anche puntandogli contro una pistola ed estorsioni con il metodo mafioso. Un calvario iniziato nel cuore dell’estate 2023: il 25 agosto l’imprenditore aveva venduto un Rolex di sua proprietà a un pregiudicato napoletano residente a Martinsicuro che dopo qualche giorno ha simulato che l’orologio fosse falso, accusandolo di averlo truffato. Dalle indagini è emerso che il Rolex era finito a Napoli, dove era stato sostituito il meccanismo per farlo risultare falso per estorcere denaro all’imprenditore. Il pregiudicato napoletano mirava a farsi restituire i soldi, alzando la posta a cinquemila euro, avvalendosi di ogni forma di minaccia per indurre la vittima a cedere. Ciononostante, l’imprenditore taglieggiato si è rifiutato di cedere al ricatto estorsivo. A questo punto sono subentrati gli altri quattro soggetti finiti dietro le sbarre: tre uomini e una donna, originari di Napoli, ma residenti a Montescuro. Nel comune abruzzese erano stati inizialmente trasferiti dopo l’ingresso nel programma di protezione, scaturito negli anni in cui il pentimento delle figure apicali del clan Sarno di Ponticelli portò alla fine di un’era camorristica durata all’incirca trent’anni tre le strade del quartiere della periferia orientale di Napoli. Proprio rivendicando la loro appartenenza al clan Sarno, i quattro soggetti hanno indirizzato violente minacce all’imprenditore e anche a suo padre affinché pagassero. In questo frangente riuscirono a impadronirsi di una Smart di proprietà della vittima del valore di circa seimila euro, poi restituita al legittimo proprietario dopo gli arresti, pretendendo che provvedesse ad effettuare il passaggio di proprietà per cederla a loro. Nel periodo in cui l’uomo era finito nel mirino degli ex ras di Ponticelli, in effetti, uno degli arrestati andava in giro utilizzando la Smart che gli era stata sottratta.
Determinante la testimonianza della vittima che ha consentito ai carabinieri di chiudere il cerchio delle indagini. L’uomo ha fornito una descrizione dettagliata dei suoi taglieggiatori e ha fornito agli inquirenti una meticolosa e circostanziata ricostruzione dei fatti, confermati dalle intercettazioni – trattandosi di soggetti già attenzionati – che hanno fornito elementi in grado di fornire riscontri che hanno fugato ogni dubbio circa l’attendibilità della versione resa dalla vittima. In manette sono finiti: Francesco Granato, 28 anni, Giovanni Favarolo, 34 anni, Grazia Piscopo, 49 anni, Antonio Sarno, 32 anni e Antonio Madonna, 21 anni. Di questi, quattro sono da tempo domiciliati a Martinsicuro mentre uno è domiciliato a Melito di Napoli, sebbene occasionalmente si recasse proprio a Martinsicuro.
Giovanni Favarolo, alias Giuann’ ‘o boss, ex figura di spicco del clan D’Amico del rione Conocal di Ponticelli, poi diventato collaboratore di giustizia all’incirca dieci anni fa, aveva quasi ultimato il percorso ed era in procinto di essere capitalizzato, quindi di ricevere la liquidazione che consente ai collaboratori di giustizia di avviare un’attività lavorativa o di acquistare una. Era finito nella stessa località in cui vivevano alcuni elementi di spicco dell’ex clan Sarno che in più circostanze hanno attirato l’attenzione delle forze dell’ordine: Grazia Piscopo è la moglie di Luciano Sarno, ex ras di Ponticelli poi passato dalla parte dello Stato, stroncato da un tumore nel 2018 all’età di 50 anni. Antonio Sarno, il 32enne destinatario dello stesso provvedimento che ha raggiunto la madre è per l’appunto il figlio del ras deceduto. Lui e la madre erano già stati estromessi dal programma. Non è la prima volta che madre e figlio conquistano le pagine di cronaca locale da quando hanno lasciato Ponticelli per rinnegare la criminalità.