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29 gennaio 2013: cronaca dell’omicidio che ha dato il via all’eterna faida di Ponticelli

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
29 Gennaio, 2024
in Cronaca, In evidenza
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29 gennaio 2013: cronaca dell’omicidio che ha dato il via all’eterna faida di Ponticelli
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La sera del 29 gennaio del 2013, in via Arturo Toscanini, nel Rione Conocal di Ponticelli, si consuma un duplice omicidio che ha sancito un punto di non ritorno tra i De Micco e i De Luca Bossa che tuttora sovente sfocia in una faida di camorra.

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In quel periodo avvenne la rottura dell’accordo tra Giuseppe D’Amico e Michele Cuccaro e Marco De Micco in merito alla divisione dei proventi degli affari illeciti, droga ed estorsioni in primis. 

Il cartello costituito dai cosiddetti “Bodo” e i barresi intendeva corrispondere ai D’Amico il 50% sui soldi ricavati soltanto al parco “Conocal”, – roccaforte proprio dei D’Amico – ma il boss “Peppino Fraulella” aspirava a vedersi riconoscere la stessa percentuale sugli affari illeciti di tutto il quartiere. La sua richiesta non sortì alcun esito e ben presto quel malcontento sfociò in una guerra che ebbe inizio proprio quando i sicari dei De Micco assassinarono Gennaro Castaldi, 21 anni e Antonio Minichini,19 anni, entrando in azione sotto casa del 21enne, affiliato ai D’Amico e residente nel Conocal. I due giovani vengono immediatamente trasportati all’ospedale Loreto Mare: Castaldi muore poco dopo il ricovero, Minichini all’alba del giorno dopo, in seguito ad un disperato intervento chirurgico. L’omicidio del 19enne, ucciso solo perchè quando i killer entrarono in azione si trovava in compagnia dell’unico obiettivo dell’agguato, introduce uno scenario destinato ad allungare la scia di sangue.

Antonio Minichini è il figlio di Anna De Luca Bossa, sorella di Tonino ‘o sicco, boss fondatore dell’omonimo clan, e di Ciro Minichini detto Cirillino fedelissimo di Tonino ‘o sicco e figura di spicco della malavita barrese. Una morte eclatante che ha squarciato una ferita indelebile nel cuore e nell’orgoglio di due famiglie camorristiche di primo ordine della periferia orientale di Napoli e che ha introdotto e alimentato una faida che nel corso degli anni, a fasi alterne, è tornata in auge in più circostanze e che ancora oggi tiene banco tra le strade del quartiere. Per vendicare la morte del fratellastro, Michele e Alfredo Minichini diventeranno protagonisti di un’efferata stagione di sangue che li vedrà compiere delitti e azioni violente, pur senza riuscire a colpire i De Micco. Un intento che Michele Minichini annunciò tatuandosi sul cuore il volto del fratellastro ucciso dai sicari dei De Micco, accompagnato da una frase in spagnolo: “verrà il giorno della vendetta”. Tuttavia, il ras ha incassato l’ergastolo senza riuscire nel suo intento.

Mentre tra le strade del quartiere la scia di sangue si allungava e le ostilità sempre più frequentemente facevano registrare schermaglie, ritorsioni e fibrillazioni, in attesa di mettere a segno la vendetta, i parenti di Antonio Minichini riponevano tutte le loro aspettative nella giustizia. Imputati per l’omicidio Castaldi-Minichini, oltre al ras Salvatore De Micco e a Gennaro Volpicelli, anche il collaboratore di giustizia Domenico Esposito che, con le sue dichiarazioni ha svelato i retroscena dell’agguato. I tre rispondono dell’accusa di duplice omicidio con l’aggravante camorristica perché avrebbero agito per favorire il proprio clan d’appartenenza. «Era un periodo in cui cercavano di prendere Christian Marfella – figlio di Giuseppe Marfella e Teresa De Luca Bossa – per ucciderlo e anche le persone che camminavano con lui, tra le quali il figlio di “Cirillino” Minichini. Dopo vari tentativi venimmo a sapere che Genny Castaldi aveva la ritirata a casa alle 8 di sera. Partimmo con una Atos onesta (“pulita”, ndr), che era della persona cui mandavo i messaggi per la droga, ma lui non ne sapeva niente. Andammo sotto casa di Castaldi e abbiamo aspettato un quarto d’ora, massimo venti minuti. Eravamo io, Gennaro Volpicelli e Salvatore De Micco (fratello di Marco, ndr). Nessuno dei tre fuma né ha fumato durante l’attesa. Quando vedemmo arrivare l’SH bianco con in sella Antonio Minichini e Gennaro Castaldi, Salvatore De Micco e Gennaro Volpicelli spararono. Il primo fu De Micco a Minichini che guidava. Quando il motorino cadde, De Micco sparò anche contro Gennaro Castaldi fino a che la pistola non si inceppò. Allora sparò anche Volpicelli, contro Castaldi che aveva accennato alla fuga. Io ero armato, ma non sparai, tanto che De Micco mi rimproverò. I due che fecero fuoco avevano due 9×21, io un 357 di quelli che ho fatto sequestrare oggi».

Tuttavia, nel corso del processo, si fa spazio un retroscena che fa vacillare clamorosamente l’attendibilità delle dichiarazioni di Domenico Esposito. Una lettera di scuse indirizzata al boss Marco de Micco, nella quale “o’ cinese” si pente di essere diventato collaboratore di giustizia e spiega che quella scelta è maturata perché “gli avevano messo i vermicelli in testa”, ovvero, Roberto Boccardi – un altro affiliato al clan, gli aveva fatto credere che volessero liberarsi di lui. Quindi, vedendo la sua vita in pericolo, scelse di collaborare con la giustizia per beneficiare, così, della protezione dello Stato.

Una lettera che Marco De Micco aveva ricevuto circa due anni prima, quindi all’incirca un anno dopo il duplice omicidio dei due giovani, mentre era detenuto agli arresti domiciliari in un comune del milanese. Un asso nella manica che i De Micco si giocano in tribunale per invalidare le dichiarazioni di ‘o cinese, tant’è vero che il 6 ottobre del 2021 il ras Salvatore De Micco e Gennaro Volpicelli, imputati per l’omicidio di Antonio Minichini e Gennaro Castaldi, vengono assolti dalla Corte d’assise d’appello di Napoli: in primo grado erano stati entrambi condannati alla pena dell’ergastolo.
Una notizia che viene festeggiata con un lungo e fragoroso spettacolo pirotecnico nella zona di San Rocco, quartier generale dei De Micco. Una pioggia di fuochi d’artificio che ha introdotto un altro efferato delitto, compiuto proprio a San Rocco e che ha inflitto un altro durissimo colpo agli eterni rivali. Assassinato dai killer del clan De Micco, un altro giovane legato ai De Luca Bossa: il 23enne Carmine D’Onofrio, figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, fratello di Anna e Tonino o sicco.

Mentre cercano in tutti i modi di vendicare la morte di Antonio Minichini, i De Luca Bossa si ritrovano costretti a incassare un altro colpo durissimo: Carmine D’Onofrio, reo di aver piazzato un ordigno nel cortile di casa del boss Marco De Micco, viene assassinato nei pressi dell’abitazione della madre, sotto gli occhi della compagna all’ottavo mese di gravidanza.
Pochi mesi dopo, sotto la guida di Christian Marfella, fratellastro di Tonino ‘o sicco tornato in libertà dopo una lunga detenzione, il clan ha cercato di portare a compimento la duplice vendetta, dando il via all’ennesima stagione di violenza, pur senza riuscire nell’intento.

Una rivalità, quella tra i De Micco e i De Luca Bossa che si spinge ben oltre gli interessi legati al controllo del territorio. Un odio alacre che fomenta una faida sanguinaria che in più circostanze, dopo periodi di calma apparente, è tornata a turbare la quiete cittadina.

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