Dietro i sequestri di armi dello scorso 16 gennaio potrebbe celarsi un retroscena ben preciso: questo il rumors che serpeggia con crescente insistenza nelle ultime 48 ore tra le case popolari di via Matilde Serao a Caravita, frazione del comune di Cercola teatro dell’operazione condotta dai carabinieri della compagnia di Torre del Greco insieme a quelli della locale Tenenza e che ha portato anche all’arresto per detenzione illegale di arma comune da sparo e ricettazione Ciro Silvestri, 46enne del posto già noto alle forze dell’ordine. L’arrestato è il compagno della madre di Fatima Tubelli, moglie Eduardo Fiorentino Mammoliti detto “Fiore”, figura di spicco della malavita locale, attualmente detenuto.
Quell’arresto e il ritrovamento di una pistola revolver “smith&wesson 357” e 33 colpi calibro 38 all’interno dell’abitazione del 46enne, ma soprattutto un fucile a pompa modello “maverick” calibro 12 con matricola abrasa insieme a 12 cartucce trovato dai militari in un vano ascensore, secondo i residenti delle cosiddette “palazzine di Caravita” sarebbero scaturiti da una logica ineccepibile: si tratterebbe del primo riscontro delle dichiarazioni rese da un nuovo collaboratore di giustizia, figura di primo ordine del clan operante nella zona. Una prova di attendibilità e credibilità che rappresenta una premessa indispensabile per avviare un percorso di collaborazione di giustizia.
Un’ipotesi tutt’altro che campata per aria considerando la stangata inflitta al clan operante nella zona come costola dei De Luca Bossa di Ponticelli dal recente blitz che lo scorso 28 novembre ha portato a 16 arresti, aggravando la posizione degli affiliati già detenuti e spalancando le porte del carcere a quelli a piede libero. Diverse figure apicali della cosca erano state scarcerate pochi mesi fa, dopo aver trascorso diversi anni in cella. Potrebbe essere plausibile che qualche figura di spicco dell’organizzazione abbia preferito giocarsi la carta del pentimento, stanca di doversi sobbarcare quella che nel gergo camorristico viene definita “una vita di carcere”.
A legittimare questa ipotesi non è solo il ritrovamento di due armi ben occultate, ma anche un altro fatto ancora più suggestivo: la sparizione di alcuni familiari di una figura apicale del clan-succursale dei De Luca Bossa a Caravita. Di punto in bianco, contestualmente alle perquisizioni che hanno portato al rinvenimento delle armi, si sono perse le tracce di queste persone, ormai da due giorni. Un dettaglio che in un rione non passa inosservato. La casa chiusa e disabitata, le automobili non parcheggiate in strada, nessun segnale di presenza. Come se fossero partiti di punto in bianco. Una circostanza che può essere maturata, per l’appunto, in forma cautelare per spostare il nucleo familiare in una località protetta, proprio come previsto dal programma di protezione riservato ai parenti dei collaboratori di giustizia.