L’immagine più rappresentativa del 17enne nuovamente arrestato nel rione Lotto O di Ponticelli e finito per la prima volta nel carcere di Nisida, viene riproposta con una fierezza quasi ossessiva dagli amici sui social network.
Una foto che lo ritrae accanto a una sigla incisa sulle pareti di un muro del “suo rione”, il Lotto O di Ponticelli: “D.L.B.”, acronimo di De Luca Bossa, il clan storicamente radicato in quel contesto. Un’immagine ricorrente nei rioni come il Lotto O, dove la criminalità organizzata incide in maniera dirompente sulla vita di quei ragazzi che in quel modo non necessariamente ostentano l’affiliazione al clan.
In molti casi, quell’immagine simboleggia il senso d’appartenenza a quella realtà, unitamente al desiderio di sentirsi parte di quel distorto e fuorviante cerchio magico che ai loro occhi rappresenta l’unica carta da giocarsi, l’unica alternativa possibile e perseguibile per ambire a una vita diversa e migliore, solo ai loro occhi.
Poco importa se questo significa morire prima di compiere 30 anni o finire in carcere nel fiore degli anni più belli. Il rischio è contemplato ed è la parte più avvincente e adrenalinica di quel gioco che assicura la spericolata evasione dalla povertà, dal grigio e dalla noia di quel rione. Un inferno terrestre, se vissuto dalla parte “sbagliata” della barricata che in quel paradossale rovesciamento della medaglia, equivale alla fazione che abbraccia il credo dei sacrifici e del pane e cipolla, pur di non commettere reati. Una scelta da codardi per quegli aspiranti “Robinù” che vivono giocando tutti i giorni alla roulette russa: disposti a uccidere per una manciata di banconote da 100 euro, disposti a morire per una manciata di banconote da 100 euro. Le regole le stabilisce il destino, come nel più incosciente dei videogiochi, dove la vita vale uno e non c’è possibilità di giocarsi dei bonus.
“Il dolore di oggi sarà la forza di domani”, “che la nostra ferita sia mortale”, “la tua libertà è la mia vittoria”, “Meglio 30 anni di carcere che 100 da pentito, meglio un giorno da re che 1000 da infame”, “il destino è con noi, vediamo come andrà a finire”, “ritorneremo più forti di prima”, “potranno toglierci la libertà, ma mai l’onore e la dignità”, “mai perdere il coraggio che le ferite di oggi saranno la nostra forza”. Sono solo alcune delle frasi che accompagnano le carrellata di foto pubblicate sui social in queste ore e che ripropongono il momento dell’arresto del minorenne con una sfilza di precedenti già a carico, malgrado non abbia ancora compiuto 17 anni.
Un arresto maturato dopo l’ennesima fuga dalla comunità alla quale era stato affidato per fare ritorno nel “suo rione”. Non a caso, in molti video, quel gruppo di amici si definisce “famiglia Lotto O”.
Quella di S C. risuona come la storia di un predestinato che sembra annunciare un epilogo prevedibile. Tantissimi i messaggi pervenuti alla nostra redazione in seguito alla pubblicazione della notizia dell’arresto. La rabbia dei residenti in zona che lo hanno descritto come un giovane scalmanato, avvezzo a seminare panico e schiamazzi, malgrado la consapevolezza di essere ricercato dalle forze dell’ordine avrebbe dovuto indurlo ad optare per un atteggiamento più morigerato, ma anche il rammarico di chi per lui avrebbe voluto un destino diverso e per questo ha cercato di ricondurlo sulla retta via.
Tra i giovani più legati a S. e pertanto più attivi sui social per esaltarne le gesta, spicca “un figlio d’arte”. Si tratta di un minorenne, figlio naturale di uno degli affiliati più autorevoli all’ex clan Sarno, attualmente detenuto. Un ragazzino che da diverso tempo, con ferma convinzione, sta cercando di mettersi in mostra, sui social e nel mondo reale, sbandierando l’intenzione di conquistare un posto di rilievo nel contesto camorristico locale.
Un’unione di intenti condivisa con il 17enne da 24 ore detenuto a Nisida e che continua a dipingere come un eroe chiamato a sostenere la prima di una lunga serie di prove che la palestra della malavita seguiterà a proporgli.