Un retroscena emerso fin da subito, grazie alla denuncia di un affiliato al clan De Micco che nel dicembre del 2017, pochi giorni dopo il blitz che aveva fortemente indebolito il suo clan, riferì alla polizia di aver subito un’estorsione da due soggetti che un tempo appartenevano alla sua stessa organizzazione, ma che in seguito agli arresti che di fatto hanno poi decretato la fine della prima era dei “Bodo” a Ponticelli, decisero di entrare in affari con i rivali.
Luigi Pisani ha contribuito con le sue dichiarazioni a ricostruire i fatti di camorra che si sono susseguiti tra il 2017 e il 2018, in seguito al blitz che ha rimaneggiato i De Micco, favorendo l’ascesa del cartello costituito dai Minichini-Schisa-De Luca Bossa, in un clima segnato da “stese”, raid e azioni intimidatorie.
Pisani – che per conto del clan De Micco custodiva armi – è stato un protagonista diretto di quegli eventi concitati che scaturirono dal blitz che il 28 novembre del 2017 portò all’arresto di 23 affiliati al clan De Micco che fino a quel momento aveva preservato la supremazia assoluta nel quartiere. Dopo gli arresti lo scenario era cambiato, complice anche il repentino cambio di casacca di diversi affiliati che fiutando il momento di difficoltà attraversato dal clan, decisero di confluire nell’organizzazione antagonista, riconducibile alla famiglia Minichini-De Luca Bossa. Un colpo durissimo all’orgoglio del clan, non solo perchè la migrazione degli affiliati al blitz contribuì ad indebolire il clan a vantaggio della fazione rivale, fu un evento inaspettato soprattutto in riferimento ai plurimi trascorsi che storicamente avevano segnato i rapporti tra le due organizzazioni. Fino a quel momento storico, i De Micco avevano avuto la meglio sui rivali mettendo la firma anche su delitti eccellenti. Decine di episodi hanno concorso a inasprire rivalità, odio e rancore tra i due clan storicamente rivali. Basta pensare che i Minichini-De Luca Bossa imposero ai nuovi affiliati di provvedere a cancellare il tatuaggio scalfito sulla pelle per suggellare fedeltà e assoggettamento ai De Micco.
Il tradimento degli affiliati ai De Micco fu un evento clamoroso e inaspettato che ha concorso a inasprire la rivalità tra i due clan che anche nel passato recente sono tornate a scontrandosi non solo servendosi di agguati, ma anche inscenando azioni denigratorie finalizzate a schernire e umiliare i rivali.
Uno scenario, come detto, introdotto dalla denuncia sporta da Pisani nel dicembre del 2017 e che diede il via alle indagini che si sono poi protratte per anni e che hanno concorso ad accertare l’esistenza di due fazioni camorristiche a Ponticelli, oltre a una sfilza di episodi che hanno segnato la faida per il controllo del territorio, unitamente alle estorsioni e agli altri reati compiuti da entrambi i clan.
Pisani fu una delle poche reclute che continuarono a perorare la causa dei De Micco confluendo nel clan De Martino. Tuttavia, riferì alla polizia giudiziaria di aver ricevuto una richiesta estorsiva da Giovanni De Turris e Luigi Crisai, due ex affiliati al suo stesso clan, poi passati dalla parte dei rivali per conto dei quali pretendevano soldi. Pisani fu avvicinato da Crisai mentre si trovava in un autolavaggio poco distante dalla sua abitazione: puntandogli la pistola agli arti inferiori gli chiese di consegnarli mille euro, annunciando che di lì a poco sarebbe stato raggiunto da un altro affiliato che avrebbe definito meglio la richiesta estorsiva. Poco dopo sopraggiunse De Turris che gli chiese 1.500 euro e le armi che custodiva per conto del clan De Martino.
Un’estorsione commessa dall’organizzazione scissionista nei confronti di un affiliato al clan De Micco voluta non solo per implementare l’arsenale di armi e le casse del clan, ma anche per umiliare i reduci della fazione rivale, ottenendo al contempo una prova di lealtà da parte dei nuovi gregari che compiendo una richiesta estorsiva ai danni dell’ex clan d’appartenenza ufficializzarono il cambio di casacca.
Ben più delicata la posizione di Roberto Boccardi che non solo rinnegò il clan De Micco per dare man forte all’ascesa dei rivali, ma intraprese anche una relazione con Martina Minichini, sorella dei ras Michele e Alfredo. Nelle vesti di affiliato al clan De Micco aveva ricoperto un ruolo di primo ordine nella faida contro i D’Amico, arrivando perfino a sparare al genero di Tonino fraulella alias Antonio D’Amico, fondatore dell’omonimo clan.
Una vicenda riferita dal collaboratore Tommaso Schisa che rivela alla magistratura anche la volontà di uccidere Boccardi covata dal suo gruppo. Malgrado la relazione che lo legava alla sorella di due perni portanti dell’alleanza, il clan non si fidava di lui, in quanto ex affiliato ai De Micco dai quali percepiva lo stipendio in carcere. Un’intenzione palesata da Michele Minichini e condivisa da Tommaso Schisa che non aveva mandato giù il fatto che Boccardi aveva puntato la pistola al volto della madre, la “pazzignana” Luisa De Stefano, a sua volta figura apicale dell’alleanza. Un episodio avvenuto quando era un uomo dei De Micco e per conto del suo clan pretendeva una tangente sui proventi della piazza di droga che “la pazzignana” gestiva nel rione De Gasperi.