Cristiano e Fortunato Piezzo, Daniele Baselice, Massimo Pelliccia, Tommaso Schisa, Rolletta Rosario, Emanuele Palmieri: sono i nomi dei sette collaboratori di giustizia che hanno contribuito con le loro dichiarazioni a disarticolare i clan De Bernardo e D’Ambrosio, ramificazioni rispettivamente dei Mazzarella e dei Minichini-De Luca Bossa-Schisa nei comuni dell’entroterra vesuviano.
Dichiarazioni rivelatesi determinanti per inchiodare affiliati e boss alle loro responsabilità e che hanno ricostruito svariati episodi con una certa precisione, consentendo di accertare il ruolo di leader ricoperto da Roberto D’Ambrosio che dopo un trascorso al soldo degli Anastasio prima e dei De Micco poi aveva scontato una lunga condanna in carcere. Una volta tornato in libertà era confluito nel cartello costituito dai Minichini-Schisa-De Luca Bossa, di cui facevano parte anche Tommaso Schisa e Rosario Rolletta, poi passati dalla parte dello Stato.
Nel 2018, Rosario Rolletta fu arrestato proprio insieme a Roberto D’Ambrosio, stimato essere il reggente dell’omonimo clan, motivo per il quale le sue deposizioni hanno fornito alla magistratura una visuale privilegiata. Residente nel plesso di case popoli di via Matilde Serao a Caravita – frazione del comune di Cercola – adibite a quartier generale dell’organizzazione, Rolletta fu uno degli affiliati ai De Micco che in seguito al blitz che nel 2017 sancì la temporanea uscita di scena del clan, confluì nell’organizzazione che stava nascendo proprio nel rione in cui viveva e che rappresentava una costola del cartello costituito dai De Luca Bossa- Minichini-Schisa, clan antagonista dei De Micco operante a Ponticelli.
Alla fine del 2017, proprio successivamente al blitz che decapitò il clan De Micco, D’Ambrosio creò un gruppo camorristico che sul territorio di Cercola continuò a rappresentare una ramificazione del clan Minichini-De Luca Bossa, nelle cui casse confluivano anche una parte dei proventi illeciti della cosca del D’Ambrosio, ma sui comuni di Sant’Anastasia e zone limitrofe era riuscito ad imporsi come gruppo autonomo.
Una conquista maturata in breve tempo, avvalendosi di una politica violenta e intimidatrice, forte soprattutto della “notorietà criminale” dei De Luca Bossa: un cognome, un affiliazione che il clan D’Ambrosio ha sfruttato come un jolly e che ha puntualmente ostentato per incutere timore nei soggetti taglieggiati, oltre che per troneggiare sulle organizzazioni rivali.
Il racconto di Rolletta parte dalla ricostruzione della sua storia criminale: il debutto tra le fila dei De Martino nel 2014, per poi passare con i De Micco, quando i due clan si sono alleati, negli anni 2015-2016, sotto le direttive di “Gino” Bodo alias Luigi De Micco. In quel momento storico il clan era operativo sul quartiere Ponticelli e nei comuni di Cercola, Massa di Somma, San Sebastiano al Vesuvio.
Rolletta riferisce che dal 2017, fino a quando non è stato tratto in arresto, il comune vesuviano di Sant’Anastasia era controllato in totale autonomia da Roberto D’Ambrosio e Massimiliano Baldassarre detto ‘o serpe: “So che il gruppo D’Ambrosio si occupava delle estorsioni agli esercizi commerciali e agli imprenditori In particolare posso riferire di una sparatoria avvenuta ai danni di un imprenditore reo di non voler pagare il pizzo. Questo episodio è avvenuto a Sant’Anastasia con la persona offesa in auto e gli sparatori a bordo di un motorino. La cosa mi è stata raccontata da Roberto D’Ambrosio intorno al 2018 quando eravamo detenuti insieme a Secondigliano. In particolare costui mi disse che, su suo mandato, tale Fiore – nipote acquisito di D’Ambrosio – e Luigi o’ pizzaiuolo – figlio della sorella di Roberto D’Ambrosio – andarono a sparare per convincere l’imprenditore a pagare il pizzo. Lo stesso fatto mi è stato raccontato -sempre a Secondigliano- anche dallo stesso Fiore, il quale mi confessò di essere l’autore di quell’episodio e non solo.
Il gruppo D’Ambrosio poi si occupava della gestione di alcune piazze di spaccio. In particolare posso riferire di quella gestita dalla moglie del “Serpe” a nome Antonella Paudice e di quella del figlio di quest’ultima che si chiama Gaetano detto “o ’cafone”. La Paudice vende prevalentemente cocaina a casa, comprandola da Secondigliano mentre il figlio vende cocaina a
Somma Vesuviana nei pressi della sua abitazione.“
Sono svariati gli episodi raccontati da Rolletta che concorrono a ricostruire lo spessore criminale di D’Ambrosio e la politica violenta e intransigente avviata soprattutto in seguito alla battuta d’arresto dei De Micco.
Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, in seguito al blitz che portò all’arresto di 23 affiliati al clan De Micco, Roberto D’Ambrosio mise piede a Cercola sfruttando il vuoto di potere venutosi a creare e pretendeva da un pregiudicato del posto le chiavi di uno scantinato che si trova nei pressi dell’abitazione di quest’ultimo, da utilizzare come ricovero per le armi e per gli eventuali mezzi. Al rifiuto di quest’ultimo, Roberto D‘Ambrosio e Fiore Mammoliti lo picchiarono sotto casa, insieme alla moglie, in via Matilde Serao.
Rolletta indica D’Ambrosio come l’autore di due episodi intimidatori che si verificarono in quegli anni per piegare due imprenditori reticenti alle sue richieste estorsive: le bombe indirizzate a due concessionarie di automobili di Cercola. In una circostanza, l’ordigno non esplose perché l’affiliato incaricato di compiere l’azione minatoria non ne fu capace.
Nell’altra circostanza, invece, il lancio all’interno del piazzale di bottiglie molotov dal ponte dell’autostrada determinò l’incendio di una fiat Cinquecento e non dell’intera struttura, come aveva ordinato il boss.
Rolletta riferisce anche del pestaggio di un soggetto dedito all’attività di usura a Caravita e che non versava una tangente ai Minichini-De Luca Bossa-Casella e per questo fu vittima di un pestaggio da parte di due soggetti legati al clan D’Ambrosio. L’uomo vittima dell’aggressione si precipitò in casa per impugnare una pistola e sparò contro i due gregari che lo avevano malmenato che, di contro, non esitarono a replicare al fuoco. Un contenzioso che poteva definirsi tutt’altro che risolto. Motivo per il quale l’usuraio chiese proprio a Rolletta di aiutarlo, affinché perorasse la sua causa agli occhi di Francesco Audino detto ‘o cinese figura apicale del cartello costituito dai clan alleati di Napoli est che gli fece sapere che per mettere tutto a posto occorrevano 500 euro ed una pistola.