Gruppi di giovanissimi appartenenti a fazioni camorristiche rivali, allucinati dalle droghe, galvanizzati dal possesso di armi che non si fanno scrupoli ad utilizzare per assoggettare i nemici, ma anche per rivendicare potere, timore, rispetto. Sullo sfondo le logiche imposte dalle dinamiche malavitose che si avvicendano nel quartiere e che fungono da pretesto per inasprire le ostilità: questo lo scenario che attualmente si registra a Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli e che nelle ultime settimane ha fatto registrare diverse incursioni armate. Svariate “stese”, ma anche un agguato in cui è rimasto ferito uno dei protagonisti della “faida tra baby-boss” attualmente in corso.
Una ricostruzione che emerge dai racconti e dalle testimonianze degli abitanti dei due rioni più caldi del quartiere sul fronte camorristico: il Conocal, fortino dei D’Amico e il plesso di case popolari di via Luigi Franciosa, dove invece di recente si sono rifondati i Casella, fortemente indeboliti dai blitz che hanno tradotto in carcere le figure di spicco dell’organizzazione che adesso punta tutto su donne e giovani leve. Un assetto organizzativo assai simile a quello che contraddistingue anche il clan rivale oramai da diversi anni: i cosiddetti “fraulella”, a loro volta, in seguito all’arresto dei fondatori del clan, i fratelli Giuseppe e Antonio D’Amico e ancora di più dopo il blitz che nel 2016 ha portato all’arresto di circa 100 affiliati, ha fatto leva sulle donne sopravvissute al carcere e sui giovani eredi della cosca, non disdegnando una serrata campagna di scouting tra i ragazzi del rione, resi ancor più vulnerabili dalla crisi lavorativa scaturita dalla pandemia.
Se inizialmente le ostilità tra i due clan vedevano coinvolti soprattutto i vertici delle due organizzazioni, complice un dissidio di natura economica sorto tra le donne dei D’Amico e dei Casella che gestivano insieme l’attività di usura nel Conocal, gli spari che si sono alternati di recente sembrano invece più riconducibili a schermaglie tra ragazzini che non a una vera e propria guerra di camorra. Seppure ad alimentare le ostilità tra i gruppi di giovani concorrano anche delle dinamiche correlate alle logiche malavitose, come il controllo delle piazze di droga, il movente portante appare l’orgoglio, unitamente al desiderio di vendetta.
L’episodio cruciale resta il ferimento del 18enne che la sera dello scorso 17 novembre è stato gambizzato in via Luigi Franciosa, mentre si trovava in strada in compagnia del gruppo di coetanei. Un’auto ha fatto irruzione nel fortino dei Casella e ha sparato una raffica di colpi che hanno raggiunto il giovane che fino allo scorso giugno era una recluta dei D’Amico. Un raid che potrebbe rappresentare “la punizione” degli ex sodali per il repentino cambio di casacca, avvenuto contestualmente a un fatto ben preciso. Il 18enne gestiva una piazza di droga per conto del clan D’Amico e fu accusato di aver derubato l’organizzazione che denunciò un ammanco di denaro nella cassa in cui confluivano i proventi dell’attività illecita. Pertanto, il giovane avrebbe subito un violento pestaggio, voluto per punirne lo sgarro, dopodiché gli sarebbe stato imposto di lavorare gratuitamente per il clan, fino a quando il debito non si sarebbe considerato estinto. Questo il retroscena che avrebbe indotto il 18enne a confluire tra le fila del clan rivale. Un duplice sgarro mal recepito dai rampolli del clan D’Amico, galvanizzati anche dalla recente alleanza con il clan radicato nella zona delle “case murate” del Rione De Gasperi. Un’unione di intenti che sarebbe stata ufficializzata proprio compiendo il raid nel quale è rimasto ferito il 18enne, ex pusher dei D’Amico. Di contro, proprio quest’ultimo, in compagnia di un altro giovane legato ai Casella, avrebbe fatto irruzione nel Conocal lo scorso sabato 25 novembre per replicare all’agguato subito. Prima gli spari nei pressi di un circolo ricreativo frequentato dai giovani del rione, poi l’incursione tra le strade che costeggiano i palazzoni a caccia di un rivale da stanare. Quando i due giovani hanno intercettato in strada una giovane donna imparentata ai D’Amico, non avrebbero esitato a puntarle la pistola in faccia per intimarle di dirgli dove si trovavano i suoi parenti.
Un affronto mal recepito dai giovani rampolli del clan D’Amico, tutt’altro che intenzionati a lasciare che quell’ennesimo sgarro resti impunito. Una sequenza di fatti che costruiscono una trama ormai avulsa dalle logiche che tra settembre e ottobre hanno portato un commando riconducibile ai Casella a compiere diversi raid in via al chiaro di luna, la strada in cui vivono le figure apicali del clan D’Amico e dove di recente sono dirottati anche gli altri affiliati residenti in altre zone del rione per ovviare alla necessità di fare fronte comune contro le incursioni dei rivali. Non a caso, durante l’ultimo episodio avvenuto lo scorso 27 ottobre, un soggetto imparentato ai D’Amico non avrebbe esitato a replicare al fuoco dei rivali sparando dal balcone.
Su entrambi i fronti si registra la presenza di giovani pusher stipendiati dai clan: consapevoli di essere sotto i riflettori, “i capi” delle organizzazioni optano per un profilo basso, soprattutto tra le rovine del rione Conocal, dove regna la consapevolezza che il prossimo blitz potrebbe svolgersi proprio in quella sede. I D’Amico sanno di avere le ore contate, ma al contempo fanno leva su un’altra certezza: buona parte degli affiliati arrestati nel 2016 hanno ormai terminato di scontare la pena. Alcuni soggetti sono stati già scarcerati, altri torneranno nel rione a breve. Un passaggio del testimone che in sostanza garantisce all’organizzazione una certa continuità, mentre l’affiliazione di giovani incensurati o comunque fortemente motivati a dar man forte al clan del rione in cui sono nati e cresciuti, concorre a garantire la manovalanza necessaria per preservare il buon esito degli affari illeciti, in primis, lo spaccio di droga.