Le ultime incursioni armate avvenute in via al chiaro di luna, nel Rione Conocal di Ponticelli, sarebbero correlate alla violenta lite tra donne avvenuta lo scorso settembre.
Un’accesa discussione tra donne residenti nel rione, seppure appartenenti a fazioni camorristiche differenti: da un lato le figlie del boss Antonio D’Amico, dall’altro la figlia di una delle figure apicali del clan Casella radicato nel rione Luzzatti. Si tratterebbe di uno dei nipoti del defunto boss Salvatore Casella detto Paglialone sui quali il ras di Ponticelli puntò per fondare il suo gruppo di fuoco, quando era una figura di spicco del clan Sarno. Proprio questo assetto camorristico ha favorito la nascita di due succursali del clan Casella, tuttora esistenti: una storicamente radicata nel rione Luzzatti e riconducibile proprio ai nipoti del defunto ras di Ponticelli, l’altra radicata in via Franciosa ed ereditata dai figli di Paglialone, attualmente detenuti, al pari delle altre figure di spicco del clan.
Nonostante in un arsenale della camorra di Ponticelli si rilevi la presenza di una compagine della famiglia/clan Casella, la disputa nata nel Conocal non sarebbe scaturita dalle logiche riconducibili alla faida per il controllo del territorio in quanto determinata da tutt’altre circostanze. Nella fattispecie, nel Conocal vive da tempo immemore la figlia di un nipote del boss Salvatore Casella insediato nel rione Luzzatti. Si tratta di una giovane donna che insieme ad altre parenti sarebbe entrata in affari con le figlie del boss Antonio D’Amico ed altre donne riconducibili allo stesso clan. Nella fattispecie, le donne legate al clan Casella avrebbero funto da cassiere delle D’Amico mettendo a disposizione i soldi da utilizzare per l’attività di usura.
Un’associazione di fatti e persone che ha innescato una macchina diabolica: somme di denaro concesse in prestito applicando tassi d’interesse esorbitanti. Anche i debiti più esigui, nell’arco di pochi giorni, raggiungono cifre ragguardevoli. I debitori finiscono risucchiati in un circolo vizioso dal quale non riescono ad uscire, se non indebitandosi oltremodo con altre organizzazioni criminali, chiedendo un ulteriore prestito per sottrarsi alla soffocante morsa delle camorriste in gonnella. Gli abitanti del Conocal segnalano che i pestaggi nel rione si fanno sempre più frequenti e nella maggior parte dei casi nel mirino delle donne del clan finiscono proprio i soggetti incapaci di saldare il conto in sospeso che pertanto è destinato ad accrescere all’infinito. Motivo per il quale i debitori vengono prima minacciati e poi picchiati e umiliati in pubblico.
Le donne del clan non fanno sconti a nessuno: gli abitanti del rione riferiscono che anche un ammanco di poche decine di euro viene punito con schiaffi e calci. Una rivendicazione di forza che si consuma in strada, perchè deve assumere i connotati dell’azione dimostrativa, finalizzata a incutere timore agli spettatori, ma voluta anche per sottolineare il potere del clan che può arrogarsi l’arbitrario diritto di imporre angherie e vessazioni non solo ai debitori, ma a tutti coloro che finiscono nella lista nera del clan, soprattutto “le spie”: coloro che vengono identificati come potenziali informatori delle forze dell’ordine o dei giornalisti.
L’armonia d’intenti tra le donne dei due clan invischiate nel business dell’usura è stata bruscamente interrotta da una lite violenta, scaturita da un importante ammanco di soldi nelle casse dell’organizzazione destinate all’attività di usura che le figlie del boss Antonio D’Amico avrebbero imputato a una loro fedele collaboratrice per evitare la reazione violenta dei Casella, arrivando finanche a simulare un’accesa discussione. Un espediente che ha rallentato il corso degli eventi, ma che ha ulteriormente aggravato la situazione quando i Casella hanno scoperto di essere stati ingannati e derubati dalle D’Amico: sarebbe questo il movente della lite sfociata nel pestaggio della figlia del ras dei Casella residente nel Conocal ad opera delle figlie di Tonino fraulella.
Non si sarebbe fatta attendere la replica del clan del rione Luzzatti che poche ore dopo il pestaggio avrebbe fatto irruzione in via al chiaro di luna, quartier generale dei D’Amico dove vivono le figlie del boss e le principali figure apicali del clan. Questo lo scenario che avrebbe introdotto l’incursione armata dello scorso 27 settembre e che ha portato al danneggiamento di tre auto in sosta. Secondo i residenti in zona, quegli spari ad altezza d’uomo erano indirizzati proprio alle autrici del pestaggio che si trovavano in strada e che sarebbero riuscite a dileguarsi trovando riparo tra le auto parcheggiate in strada.
La consapevolezza di aver pestato i piedi a un clan tutt’altro che propenso a ignorare il duplice affronto subito ha comprensibilmente seminato panico e paura tra i vertici del clan D’Amico. I nipoti di paglialone, fin dai tempi dei Sarno hanno dato ampia riprova di possedere uno spessore camorristico tutt’altro che trascurabile, tant’è vero che lo zio puntò su di loro per conquistare un posto di rilievo nel contesto malavitoso locale, consapevole del fatto che i suoi figli non disponessero delle stessa tempra criminale. Si tratta di camorristi vecchio stampo per i quali l’onore è tutto e che appaiono fortemente intenzionati a vendicare il duplice torto subito: il furto di denaro, ma anche il pestaggio della figlia di una figura apicale del clan. Un’intenzione rilanciata dall’ultima incursione armata nel fortino dei rivali, dopo una breve pausa imposta dalle circostanze scaturite dal clamore mediatico suscitato dall’abbattimento dell’edicola votiva del clan, presente da 20 anni proprio in via al chiaro di luna per custodire le gigantografie di parenti e affiliati uccisi in agguati camorristici, unitamente all’operazione che ha visto impegnati circa 300 uomini e donne in divisa che hanno cinturato e setacciato il rione eseguendo perquisizioni e controlli. La pressione delle forze dell’ordine ha però concorso ad allentare le tensioni per un periodo di tempo relativamente breve.
Nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, per l’ennesima volta, un commando ha fatto irruzione in via al chiaro di luna per esplodere diversi colpi. Dall’appartamento di una delle figure apicali del clan D’Amico, un uomo avrebbe risposto al fuoco. Si tratterebbe di uno degli elementi di spicco più anziani del clan, subentrato a Vincenzo Costanzo nel controllo degli affari illeciti in seguito al suo omicidio e attualmente detenuto ai domiciliari, ma ciononostante starebbe trascorrendo la notte nell’appartamento che funge da base operativa dei rapinatori seriali che partono dal Conocal per seminare il panico tra le strade del circondario.
Un dettaglio che conferma la necessità di fare quadrato da parte dei vertici della cosca per contrastare le incursioni dei rivali ed evitare che il nome di altri familiari concorra ad incrementare l’elenco di morti eccellenti subite dal clan per assecondare le logiche camorristiche.