Il blitz che all’alba di martedì 17 ottobre ha fatto scattare le manette per 27 persone ha disarticolato per l’ennesima volta il clan Di Lauro, attivo da decenni nell’area nord di Napoli, mettendo fine all’era camorristica che ha preso il via in un momento storico ben preciso: il 9 gennaio del 2015, giorno della scarcerazione di Vincenzo Di Lauro, soprannominato F2, classe 1985, secondogenito del fondatore del clan Paolo Di Lauro alias Ciruzzo ‘o milionario, detenuto al 41bis.
Rispetto agli altri fratelli, Vincenzo ha optato per un cambio radicale intraprendendo la via della discontinuità nelle scelte criminali del clan che considera come una sorta di ‘azienda di famiglia’ dove i metodi camorristici diventano il mezzo necessario per raggiungere finalità che sono essenzialmente economiche (commerciali, finanziarie ecc.) e non per affermare il dominio sul territorio. La priorità del clan Di Lauro, dunque, smette di essere quella di impugnare le armi per controllare il territorio: Vincenzo Di Lauro ha ‘modernizzato’ l’organizzazione protagonista delle cosiddette “faide di Scampia” che hanno fatto registrare centinaia di morti, tra i quali molte vittime innocenti.
Nelle vesti di capoclan Vincenzo Di Lauro ha evitato il ricorso a mezzi esplicitamente violenti, attività che ha delegato a clan più navigati nell’esecuzioni di azioni cruente, come la Vinella Grassi che ha stretto rapporti con i Di Lauro fino a stipulare una vera e propria alleanza organica, nell’ambito della quale Vincenzo Di Lauro ricopre il ruolo di ‘padre nobile’, fungendo da garante sul territorio anche delle frange vinelliane che, colpite da numerosi provvedimenti giudiziari, tentano faticosamente di riorganizzarsi.
Scarcerato nel 2015 e sottoposto alla libertà vigilata, Vincenzo Di Lauro ha ripreso le redini del clan in quel momento guidato ‘da remoto’ dal fratello Marco Di Lauro, latitante, che si serviva di altri affiliati, in primis il luogotenente Salvatore Tamburrino il quale si confrontava con Salvatore Di Lauro, estremamente attivo nel settore degli stupefacenti e rispettoso del ruolo del fratello Marco.
La problematica gestione congiunta, quella di Vincenzo da un lato e quella di Marco e Salvatore dall’altro, ha generato due visioni non coincidenti delle attività criminali del clan, generando non pochi problemi interni, fino all’inaspettata svolta: l’arresto di Marco Di Lauro il 2 marzo del 2019, dopo 14 anni di latitanza. Il rampollo del clan viene tradito dal gregario del quale si fidava di più: Salvatore Tamburrino che diventerà un collaboratore di giustizia.
Le dichiarazioni dei pentiti, unitamente alle intercettazioni e agli altri riscontri investigativi emersi durante le indagini hanno consentito di ricostruire il nuovo assetto organizzativo del clan Di Lauro, sotto le direttive di Vincenzo che in primis riattiva il contrabbando di sigarette, vecchio pallino del padre, puntando anche alla produzione in proprio dei tabacchi lavorati, non limitandosi quindi al mero commercio all’ingrosso e al controllo della distribuzione, creando delle fabbriche per produrre le sigarette di contrabbando. Un business redditizio e considerato meno rischioso dal nuovo capoclan, rispetto allo spaccio di stupefacenti.
L’intenzione di optare per business più redditizi e meno rischiosi viene confermata dall’ingresso nell’affare delle aste giudiziarie,settore di comune interesse dei due clan alleati, in cui si muove un mondo di consulenti finanziari e di personaggi variegati, professionisti, dipendenti di istituti di credito; le aste giudiziarie sono uno strumento formidabile per accedere all’acquisto di beni immobili in modo ‘pulito’ riciclando denaro
sporco, approfittando delle lacune normative. I clan Di Lauro, Vinella Grassi e Licciardi, si spartiscono così gli affari delle aste giudiziarie.
Questa propensione agli affari crea tuttavia a Vincenzo Di Lauro un grosso problema di liquidità. Esaurita la scorta di contante messa da parte, inizialmente costituita dal cospicuo risarcimento dell’assicurazione per l’incidente mortale che coinvolse il fratello Domenico e venute a mancare le risorse che fino ad un certo momento storico ancora giungevano dalla gestione delle piazze di spaccio e dal commercio di droga, il boss ha la necessità di monetizzare.
Dopo aver richiamato a sé vecchi gregari del padre, autorizzandoli a praticare investimenti al confine tra illecito e illecito, Vincenzo Di Lauro bussa a cassa di imprenditori ‘amici’ o veri e propri riciclatori; recupera patrimoni immobiliari che il clan aveva affidato a prestanomi storici, si rivolge a soggetti a clan alleati, in primis Marino e Vinella Grassi con i quali crea società per finanziare imprese commerciali dall’esito spesso incerto.
Di fronte alla impellente necessità di denaro, Vincenzo Di Lauro rompe un tabù pluridecennale del clan di famiglia, sul quale sotto le direttive del padre il clan aveva creato parte del prestigio criminale e del consenso sociale di cui indubbiamente godeva: il nuovo capoclan autorizza le estorsioni ai negozianti del quartiere e riapre la strada anche a delitti predatori come le rapine. Il clan si addentra anche nel business della clonazione di autovetture’ ed i ‘cavalli di ritorno’, truffe assicurative, frodi carosello all’IVA, vera nuova frontiera delle organizzazioni criminali dell’area nord di Napoli.
Al capoclan fanno riferimento più gruppi, secondo una specializzazione per materia che vede un referente del Di Lauro per ogni affare principale.
Il contrabbando di sigarette è gestito da Raffaele Rispoli che si occupa anche degli stupefacenti insieme a Raffaele Di Natale.
Le aste giudiziarie sono gestite da Diego Leone, mentre nel campo economico e finanziario il boss si espone in prima persona e si avvale di una schiera di consulenti e professionisti: i fratelli Nocera, che contestualmente sono anche affiliati del clan alleato, la Vinella Grassi; Mario Castelli
e Pietro Granata, della Futuro srl, vera e propria agenzia di servizi finanziari e non solo, i due gestiscono anche i rapporti bancari e forniscono
importanti consulenze sia per le imprese gestite direttamente dalla famiglia Di Lauro, sia per quelle gestite da altri.
Sotto le direttive di Vincenzo, il clan Di Lauro, dunque, stringe una partnership in ulteriori settori di comune interesse con la Vinella Grassi.
Vi sono numerosi elementi che favoriscono quest’alleanza: la comune origine secondiglianese, quartiere in cui Vinella Grassi pratica estorsioni ai commercianti ‘ a tappeto’ (di norma chiedendo o un mensile, o proponendo i gadget, o le tre estorsioni a Natale, Pasqua e Ferragosto), mentre i Di Lauro sono molto mirati su specifici soggetti.
Alcune parentele intrecciate e la solida affiliazione dei vecchi vinelliani al clan Di Lauro che risale dai primi anni Duemila hanno garantito una solida alleanza che ha pesantemente scricchiolato nel 2007 allorchè i vinelliani, in un atto di ribellione alla gestione di Giuseppe Pica, si schierarono con “i girati”: gli Amato-Pagano. Dal 2011 i due clan si sono definitivamente avvicinati.