L’ultimo blitz eseguito nell’area orientale di Napoli e che ha concorso a indebolire ulteriormente il cartello costituito dai clan alleati di Napoli est ha destato particolare stupore tra gli abitanti del quartiere Ponticelli, perchè ha fatto scattare le manette per due soggetti che malgrado fossero notoriamente da tempo immemore radicati nel business della droga, non erano mai finiti nel mirino delle forze dell’ordine. Si tratta della “pazzignana” Antonella De Stefano, 49 anni, sorella di Luisa, e del marito 50enne, Michele Damiano detto ‘o russ’. Secondo una delle leggende metropolitane che con maggiore insistenza circola nei rioni in odore di camorra del quartiere, ‘o russ’ avrebbe mosso i primi passi negli ambienti malavitosi ai tempi dei Sarno, concentrando la sua attenzione esclusivamente sull’attività di spaccio di stupefacenti, ma per svariati decenni avrebbe beneficiato di una sorta di immunità ritagliandosi il ruolo di fedele informatore di un poliziotto. Motivo per il quale il provvedimento che lo ha raggiunto di recente ha assunto un significato importante agli occhi degli abitanti del quartiere, in particolare di quelli radicati nel rione De Gasperi, ex fortino dei Sarno ereditato proprio dalle “pazzignane”. Un arresto che zittisce i rumors e offusca l’onta di pregiudizio che aleggiava sul corretto operato delle forze dell’ordine, ma che soprattutto ribadisce che nessun malavitoso è intoccabile e in quanto tale, inevitabilmente si troverà costretto a rispondere davanti alla legge dei reati compiuti.
Quella radicata al primo piano dell’isolato 10 e gestita da ‘o russ’ e sua moglie è una delle più datate piazze di crack e cocaina dell’intero quartiere. Genitori di tre figli maschi: il primogenito Pasquale, 31 anni, arrestato lo scorso novembre nell’ambito del blitz che può essere considerato la prima parte dell’operazione che a meno di un anno di distanza ha decretato lo stesso destino per i suoi genitori. Ancora in libertà il secondogenito, maggiorenne e coinvolto a sua volta nel business illecito condotto dai familiari e il figlio minore, adolescente, con la passione per il calcio, ma già avvezzo a strizzare l’occhio alla malavita a suon di stories sui social network, ostentando l’ideologia più diffusa tra i giovani secondo la quale i parenti detenuti sono leoni in gabbia da sostenere enfatizzandone le gesta criminali, servendosi di immagini e stralci di brani che inneggiano alla criminalità.
Determinanti le dichiarazioni di Tommaso Schisa, nipote della De Stefano, in quanto figlio di sua sorella Luisa. Non a caso, in seguito alla notizia del pentimento di Schisa, proprio i figli maggiorenni della zia si resero autori delle azioni più eclatanti finalizzate a umiliare il giovane neocollaboratore provvedendo a danneggiare il suo appartamento e non solo. Una performance plateale, necessaria per preservare credibilità nell’ambito del contesto malavitoso, prendendo brutalmente le distanze dalla scelta di Schisa, soprattutto per scacciare il timore di una vendetta trasversale. Chi nasce e cresce nei contesti come il rione De Gasperi di Ponticelli impara fin da bambino che non basta rifiutare il programma di protezione riservato ai parenti dei collaboratori di giustizia per preservare il proprio posto all’interno dello scenario camorristico. Del resto, Tommaso Schisa è cresciuto senza un padre, perchè Roberto Schisa è stato condannato all’ergastolo, complici le dichiarazioni rese dai fratelli Sarno una volta passati dalla parte dello Stato. Una scelta che Schisa senior non ha mai condiviso, seppure questo volesse dire trascorrere il resto dei suoi giorni relegato in una cella, lontano dai suoi figli. Motivo per il quale, il pentimento del giovane Schisa è stato vissuto come un tradimento, un colpo che ha sortito una ferita insanabile all’onore di una famiglia/clan che riponeva proprio in lui le aspettative più velleitarie, affinchè potesse contribuire a conferire alla famiglia un ruolo autorevole nell’ambito del contesto malavitoso ponticellese e così è stato, fino a quando Schisa junior non ha optato per un brusco e radicale cambiamento, chiudendo i conti con quella vita che lo ha condannato a trascorrere in carcere gli anni più belli e cruciali della gioventù.
Una scelta condannata severamente, ma anche temuta, proprio perchè anche nei membri della famiglia/clan che per tempo immemore erano riusciti a godere solo dei benefici della malavita, ha iniziato ad aleggiare il timore che di lì a poco potessero spalancarsi le porte del carcere anche per loro. Un timore fortificato dall’arresto del primogenito della “pazzignana” Antonella De Stefano e che si è tramutato in certezza all’alba di mercoledì 3 ottobre quando sono scattate le manette sia per lei che per suo marito.
Il temutissimo presagio ha infatti trovato riscontro nella realtà: ad inchiodare i coniugi hanno contribuito soprattutto le dichiarazioni del nipote Tommaso Schisa che ha meticolosamente ricostruito l’attività di spaccio di stupefacenti gestita dai suoi familiari, indicando i canali di rifornimento e identificando i soggetti coinvolti nel business.
Schisa ha precisato che in seguito all’arresto di Luisa De Stefano e Vincenza Maione, la reggenza dell’organizzazione è stata assunta da Antonella De Stefano e suo marito Michele Damiano che è stato anche il suo consigliere personale. In quel momento storico, quando il clan delle “pazzignane” è tornato in auge dopo un lungo periodo di magra, le piazze di droga più quotate del rione De Gasperi, quelle radicate nell’isolato 2 e riconducibile a Salvatore Romano detto ‘o nippolo e quella dell’isolato 3 gestita da Pasquale Tarallo detto ‘a ceccia versavano al cartello dei clan confederati una quota settimanale pari a 200-250 euro settimanale, a seconda del giro d’affari.
Una piazza di spaccio che rendeva un guadagno di circa 15mila euro mensili quella che fino al 2015 era ubicata in casa di Luisa De Stefano. In seguito alla nascita dell’alleanza con i Minichini-De Luca Bossa, la piazza si è dunque spostata in casa di Antonella De Stefano. “Dopo l’arresto di mia madre per l’omicidio Colonna-Cepparulo – ha dichiarato Tommaso Schisa – mi sono trovato in difficoltà e mi sono occupato personalmente di scendere a Ponticelli, da Marigliano, per risolvere la situazione. In seguito al mio intervento hanno iniziato a collaborare per la gestione della piazza Anna ‘a cafona, mamma di mio zio Damiano e il figlio Gianni Esposito, il cui padre è Peppe ‘o maccarone, collaboratore di giustizia. In seguito all’arresto di mia madre avevo stretto un accordo con Romano e con ‘a ceccia nel senso che potevano acquistare la droga dove volessero , pagando a noi Schisa 5mila euro al mese. Voglio precisare che il volume d’affari di tali piazze è di circa 15mila euro al giorno.”
Uno scenario che apre una finestra significativa soprattutto sul contesto in cui “i figli della camorra” sono costretti a crescere in quanto, in virtù dell’arresto dei genitori, il figlio minore resta sotto la custodia dell’unico fratello ancora in libertà, ma indicato tra i soggetti comunque addentrati nell’attività di spaccio di stupefacenti. Un coinvolgimento più volte rimarcato a suon di spari. Il giovane, infatti, sarebbe sfuggito a diversi inseguimenti e agguati.”