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Abusi sui minori, la criminologa D’Aniello: da Ponticelli a Caivano la storia si ripete, ma non è “un problema di periferia”  

Luciana Esposito di Luciana Esposito
3 Settembre, 2023
in In evidenza, News
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Abusi sui minori, la criminologa D’Aniello: da Ponticelli a Caivano la storia si ripete, ma non è “un problema di periferia”  
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Le violenze sessuali subite dalle due cuginette di Caivano hanno riacceso i riflettori sul tema dell’infanzia violata. Tante, troppe le vicende di cronaca che hanno portato alla ribalta nazionale episodi di atroce violenza subiti da bambini.  

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Luisa D’Aniello, psicologa giuridica, criminologa, psicodiagnosta, psicoterapeuta è tra le più autorevoli esperte in materia di pedofilia, essendosi occupata di diversi casi che hanno scosso notevolmente l’opinione pubblica. In particolare, la criminologa D’Aniello, che con investigatore Giacomo Morandi è la persona che più di ogni altra ha concorso a far luce sul “massacro di Ponticelli”: il duplice omicidio di Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, due bambine di 7 e 10 anni che nel 1983 furono rapite, violentate, seviziate, uccise e date alle fiamme. Un caso ritornato in auge, grazie all’interesse della Commissione Antimafia e all’inchiesta giornalistica de “Le Iene” dalla quale sono emerse le falde investigative e le plurime anomalie che gettano un serio dubbio sulla reale colpevolezza di Giuseppe La Rocca, Ciro Imperante e Luigi Schiavo, i tre giovani condannati in via definitiva per il duplice omicidio delle bambine. 

A fungere da filo conduttore tra le tristi vicende di abusi sui minori che continuano a susseguirsi, a dispetto dei 40 anni trascorsi, è l’omertà mista a paura che puntualmente avvolge questi episodi, ma non solo. 

“La situazione emersa a Caivano, in merito agli abusi perpetrati contro i minori, mi duole dirlo – ha dichiarato la criminologa D’Aniello – è una storia vecchia. Ricordo la denuncia del Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza della Regione Campania, Cesare Romano, che nel 2016 denunciò che in alcuni contesti come Quartiere Salicelle di Afragola, parco Verde Caivano, Madonnelle ad Acerra, l’abuso sessuale e l’incesto rappresentano la normalità. Una triste realtà che emerse anche dalle indagini che scaturirono dall’omicidio della piccola Fortuna Loffredo: le intercettazioni, infatti, accertarono la presenza di almeno 5 bambini abusati in quello che i media ribattezzarono “il palazzo degli orrori” nel parco Verde di Caivano. 

Il ministro Piantedosi di recente ha affermato che gli stupri di Palermo e Caivano sono frutto di “un problema culturale”, è d’accordo con questa disamina? 

L’abuso sessuale è un fenomeno culturalmente trasversale, ma bisogna riconoscere che in queste zone sembrerebbe esserci maggior incidenza. Dalla relazione dei servizi sociali sappiamo che le cuginette di Caivano frequentavano saltuariamente la scuola, così come si sottolinea la scarsa attenzione dei genitori, tutt’altro scenario rispetto a quello in cui è maturato il duplice delitto di Ponticelli, questo mi preme precisarlo. 

Nei primi anni Ottanta, dopo il terremoto che colpì duramente Napoli e la Campania, Porchiano, periferia contadina del quartiere Ponticelli di Napoli, ed i paesi di Volla e Cercola conservavano ancora caratteristiche urbane di tipo rurale: case sparse con terreno adiacente, assenza di spazi ricreativi e assenza di una rete commerciale. 

Il Rione Incis fu, pertanto, il primo agglomerato urbano ad essere costruito su un territorio che basava la sua economia sull’agricoltura. 

 Edilizia popolare di buona qualità, lontana anni luce dalle selvagge costruzioni post terremoto: nel 1983 la ricostruzione era in fase di attuazione, in tutta la zona vi erano i cantieri che successivamente diedero vita al parco Conocal, alle cosiddette “cinque torri” di via Argine, al Camillo 90 e Lotto 0, case basse e cupe, diventate poi tane di quei quartieri bunker che hanno generato le attuali periferie criminogene.  

Nelle dignitose dimore destinate agli impiegati dello Stato, vivevano famiglie con i loro piccoli figli. La popolazione dei residenti era, difatti, molto giovane, i bambini erano tanti e giocavano negli spiazzi prospicienti alle loro abitazioni. Giochi semplici, come le corse, la campana, le biglie. I rapporti di vicinato erano positivi e gli adulti che si trattenevano a conversare piacevolmente, controllavano i loro figli. L’ambiente era sereno. I genitori proteggevano i loro figli dai pericoli legati alla criminalità comune, ma nessuno di loro, poteva immaginare che ogni singolo bambino di quel rione sarebbe potuto diventare la facile preda di un mostro sanguinario. 

Il rione Incis di quegli anni, popolato per lo più da gente perbene era un’oasi situata in un quartiere alla periferia di Napoli flagellato dalla Camorra. 

Barbara Sellini e Nunzia Munizzi erano due bambine di buona famiglia. Fanciulle curate e ben educate. Figlie di due uomini che prestavamo servizio per lo Stato: un pompiere in congedo medico perché afflitto da un brutto male e un impiegato della marina militare, sordomuto. 

Le bambine si orientavano nel mondo servendosi di una prospettiva ingenua, le esperienze relazionali, vissute fino a quel tragico momento, le avevano orientate a credere che dell’altro ci si potesse fidare.    

Vivevano entrambe nell’ex isolato 45, quella maledetta estate erano diventate inseparabili e lo sono rimaste, purtroppo, nella malinconica e traumatica memoria collettiva. 

Questa narrazione dei fatti vicinissima alla realtà è stata mistificata, nel tempo, da un giornalismo poco attento e da alcuni passaggi nelle sentenze che determinarono l’ergastolo di Imperante, La Rocca e Schiavo. 

Inoltre, le due bambine di Ponticelli sono state vittime di un unico episodio di abusi, perpetrato da una sola persona, purtroppo sfociato poi nell’omicidio. Situazioni apparentemente distinte e distanti, ma che invece aiutano ad approfondire la disamina del fenomeno, affinché possiamo arrivare a comprendere come e perché si verificano episodi di questo tipo.” 

Nella vicenda di Caivano, così come nel “massacro di Ponticelli” la camorra sembra continuare a ricoprire un ruolo cruciale. 

Uno degli aspetti che mi ha maggiormente colpito in merito ai fatti di Caivano è proprio la copertura che la camorra sembra aver garantito al branco di stupratori. Un atteggiamento in netta antitesi con la politica imposta dal “vecchio codice d’onore” che all’indomani del duplice omicidio di Ponticelli vide gli emissari del boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo avviare delle vere e proprie indagini parallele rispetto a quelle condotte dalle forze dell’ordine per stanare il colpevole e condannarlo a morte. Un copione andato in scena di frequente in quegli anni, all’indomani di infanticidi ed episodi di pedofilia e che molto spesso ha fatto registrare tensioni e pestaggi anche nelle carceri, quando gli autori di tali crimini entravano in contatto con gli altri detenuti. Ci tengo a ricordare che i tre ragazzi condannati per il “massacro di Ponticelli”, invece, hanno beneficiato della “protezione” della camorra durante i 27 anni trascorsi in carcere, proprio perché da quelle indagini parallele i gregari di Cutolo arrivarono ad identificare quello che paradossalmente potrebbe essere il vero colpevole.” 

Complice un retaggio culturale maschilista del quale la nostra società sembra non riuscire a liberarsi, si rischia di gettare le due cuginette in pasto al pericolosissimo processo di colpevolizzazione delle vittime. 

“Il branco contro due bambine è uno schema che di per sé introduce uno scenario orribile, soprattutto se pensiamo che le vittime sono state picchiate, abusate, minacciate e quindi costrette a subire una situazione quantomeno critica dal punto di vista psicologico. Le violenze si sono consumate in un contesto che viola l’infanzia e che mira a capovolgere la colpa, facendo leva ad esempio sui presunti regali in cambio di rapporti sessuali, ma trattandosi di minori di età inferiore ai 14 anni non potevano in maniera assoluta prestare il loro consenso, motivo per il quale si tratta in ogni caso di violenza sessuale aggravata. Una precisazione quantomeno necessaria per tutelare anche da questa forma di violenza due bambine di 10 e 12 anni.” 

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