Sono almeno 10 i cellulari sequestrati dai carabinieri della compagnia di Caivano che indagano sugli stupri di gruppo di cui sono state vittime due cuginette di 10 e 12 anni nel corso degli ultimi mesi nella zona del Parco Verde. Dalle memorie degli smartphone, gli inquirenti puntano a ricostruire i fatti, analizzando soprattutto le chat tra i giovanissimi coinvolti nella vicenda. L’analisi dei militari si concentra in particolar modo sui video che il gruppo di ragazzini avrebbe realizzato durante le diverse violenze. Il sospetto è che le immagini possano essere state vendute online.
L’attenzione degli inquirenti, si starebbe concentrando in particolare sugli smartphone di due minorenni, figli di capi piazze di spaccio, che sarebbero attive tra Parco Verde e nel complesso di case popolari Iacp di via Atellana, noto come “Bronx”. Si trarrebbe di figli di elementi di spicco della criminalità organizzata, giovanissimi che appartenenti alle famiglie a capo del prolifero business della droga e ai quali non mancherebbero mai contanti in tasca, ostentano abiti firmati e si comportano scimmiottando mimica e gestualità dei boss navigati. Sono ragazzi che appartengono a famiglie che finora avrebbero mantenuto il controllo della zona e il relativo silenzio omertoso facendo fortemente leva sulla paura dei residenti in zona, consapevoli dell’impellente necessità di preservare gli affari illeciti. Il business dello spaccio di stupefacenti garantisce ingenti guadagni alla criminalità locale, non è difficile capire perchè anche per questo motivo l’ordine calato dall’alto imponeva di evitare che i riflettori tornassero a riaccendersi sul Parco Verde, affinchè gli affari illeciti potessero proseguire indisturbati senza inficiare gli introiti della camorra locale. La necessità di ingraziarsi i residenti in zona era emersa alla vigilia della scorsa Pasqua, quando gli uomini dei clan avevano distribuito pacchi alimentari e uova pasquali alle famiglie del Parco Verde.
Tra i cellulari sequestrati c’è anche quello della mamma di una delle due bambine vittime degli abusi. Un sequestro a fine probatorio che per gli inquirenti può fornire ulteriori riscontri sulla ricostruzione dei fatti, ma anche approfondire quanto davvero la donna avesse controllato e vigilato sulla figlia, come lei stessa ha garantito.
Gli inquirenti cercano video, conversazioni in chat e lavorano all’ipotesi che uno dei filmati sia stato venduto nel dark web, dove la richiesta di materiale pedopornografico è altissima e può fruttare migliaia di euro. Non è altrettanto escluso che i video sarebbero stati utilizzati anche per minacciare le vittime.