L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. seppellì Pompei, ma non tutte le vittime della tragedia morirono per le stesse motivazioni. A provocare il decesso di alcune di loro fu l’asfissia: lo rivela uno studio interdisciplinare condotto dall’Università di Valencia (Spagna) e da quella di Cambridge (Regno Unito) in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei, e pubblicato sulla rivista Plos One. Le ricerche sono partite da sette calchi provenienti dal sito archeologico, per poi ricostruire con il gesso le forme, le attività e persino le contrazioni dell’agonia delle persone che vissero e morirono con l’eruzione.
Oggetto dello studio sono stati, in particolare, i resti di uomini e donne di età compresa tra i 20 e i 50 anni: sei fuggitivi dalla zona di Porta Nola e uno dalle Terme Suburbane. Per la prima volta, è stata impiegata un’analisi chimica non invasiva, che si è avvalsa della fluorescenza a raggi X per determinare la composizione elementare delle ossa e del gesso. I risultati sono stati inaspettati: a uccidere i fuggitivi di Porta Nola non fu la pioggia di lapilli, e nemmeno il crollo delle case, ma un mix di cenere e gas che dopo la prima fase dell’eruzione ne provocò l’asfissia. A dimostrarlo sarebbe anche la posizione di alcuni di loro, non in fuga ma distesi sulla schiena.
I resti sono stati paragonati, con l’obiettivo di determinare le contaminazioni dovute al gesso dei calchi, ad altre ossa rinvenute nelle necropoli di Porta Nola a Pompei, nel Sepolcreto Ostiense a Roma e a Valencia. «È stato possibile incrociare tutti i dati in modo da determinare l’effetto del gesso sulla matrice ossea e il grado di inquinamento ad esso dovuto – ha spiegato all’ANSA Valeria Amoretti del Parco Archeologico di Pompei, tra i relatori dello studio – Questo pone le basi per una metodologia non distruttiva che potrà essere applicata in modo preventivo in ogni caso futuro, evitando di scegliere campioni inquinati e riducendo al minimo i campionamenti non utili».
Amoretti ha aggiunto: «I valori di calcio e fosforo sembrano supportare un’ipotesi sempre più discussa, cioè il fatto che l’impatto termico della corrente sui corpi non sia stato così elevato». Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco archeologico di Pompei, ha commentato: «È difficile determinare con esattezza la causa di morte delle vittime dell’eruzione tra calore, asfissia ed edifici crollanti. Sappiamo che doveva essere un vero e proprio inferno. D’altronde, se mettiamo le stime del numero di vittime in relazione alla popolazione totale, che solo all’interno delle mura doveva ammontare a circa 20 mila persone, con forse altrettanti che abitavano nelle campagne, possiamo ipotizzare che molti abitanti fossero riusciti a scappare. Il nuovo studio – conclude – è importante perché ci aiuta a comprendere meglio la dinamica precisa nell’ultima fase della catastrofe».
Anche se, puntualizza Amoretti: «Tali ipotesi andranno ulteriormente discusse e avvalorate su vasta scala non solo mediante analisi chimiche e antropologiche, ma anche tramite una profonda compenetrazione fra le materie biologiche, chimiche e geo-vulcanologiche. A Pompei anche quando gli specifici studi non mettono un punto definitivo sulle singole questioni, ne approfondiscono la conoscenza, rendendola una palestra metodologica unica al mondo».