I sei ragazzi arrestati per lo stupro di gruppo avvenuto a Palermo ai danni di una ragazza di 19 anni sono stati trasferiti in altre carceri: non sono più detenuti nel carcere Pagliarelli di Palermo. Si trovano in sei penitenziari siciliani diversi. Il settimo indagato per lo stupro, quello che era minorenne quando è avvenuto, inizialmente era stato scarcerato per alcuni giorni e trasferito in una comunità: giovedì però il giudice per le indagini preliminari del tribunale dei minori ha stabilito che dovrà tornare in carcere, accogliendo una richiesta che era stata presentata dalla procura per i minorenni dopo la scarcerazione. Al momento non è chiaro se sarà portato nel carcere di Palermo e se abbia intenzione di chiedere un trasferimento come gli altri indagati.
In una nota della direzione i sei detenuti venivano definiti “invisi” alla popolazione carceraria. E poi c’erano problemi logistici. Non devono incontrarsi e la struttura palermitana non ha un numero di “reparti riservati” per tutti. Sono quei reparti dove vengono rinchiusi i detenuti accusati di reati che il “codice” carcerario, quello non scritto, mal sopporta.
Insulti, minacce verbali: il clima si era fatto pesante al Pagliarelli sin dal primo giorno dell’arrivo dei giovani accusati di avere abusato a turno di una ragazza di 19 anni. La direzione aveva chiesto di valutare il trasferimento per evitare “azioni destabilizzanti per l’ordine e la sicurezza”. Durante la serata di giovedì 24 agosto si è dato seguito alla richiesta.
La richiesta di trasferimento dal carcere di Palermo sarebbe stata fatta dagli stessi arrestati, secondo quanto hanno riferito i loro avvocati, dopo che avevano subìto minacce da altri detenuti. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia (DAP) ha accolto la richiesta, inviata dal direttore del carcere, ma al momento non si sa ancora dove verranno trasferiti.
Dei sette indagati uno ha compiuto 18 anni dopo i fatti; uno ha 22 anni, due 20, due 19 e il settimo 18. Lo stupro era avvenuto al Foro Italico, sul lungomare di Palermo, la notte tra il 6 e il 7 luglio scorsi, ma la notizia è stata diffusa solo pochi giorni fa dopo l’arresto degli indagati.
Secondo le ricostruzioni riportate sui giornali – basate su una serie di testimonianze, compresa quella della 19enne, e sulle intercettazioni dei telefoni degli indagati – la ragazza che ha subìto gli abusi conosceva solo il 22enne, che l’aveva invitata per un’uscita di gruppo a cui lei si era presentata con due amiche. La 19enne aveva bevuto una certa quantità di alcol su invito dei ragazzi e a un certo punto della serata era stata condotta evidentemente ubriaca, e quindi in una condizione psico-fisica di inferiorità, in una zona isolata dove c’era un cantiere. Una telecamera ha ripreso la ragazza mentre camminava sorretta da due ragazzi, con gli altri cinque che li seguivano.
La ragazza ha raccontato che una volta nel cantiere era stata stuprata da sei dei ragazzi, con l’eccezione di quello che conosceva, che avrebbe ripreso la scena in un video. Dopo lo stupro, secondo la testimonianza della ragazza, i ragazzi l’hanno lasciata sola e dolorante sul lungomare, rifiutando di chiamare un’ambulanza.
Negli ultimi giorni, da quando è stata diramata la notizia dello stupro, sono nate alcune chat su Telegram con migliaia di iscritti che hanno l’obiettivo di reperire e diffondere il video che ha ripreso la scena. Il Garante della privacy, l’autorità che si occupa della tutela dei dati personali, ha adottato due provvedimenti d’urgenza in cui avverte Telegram ed eventuali utenti in cerca del video che la sua diffusione costituisce una violazione delle norme sulla privacy e può essere sanzionata.
I provvedimenti sono da intendere come avvertimenti, ma il Garante della privacy ha tra le sue funzioni anche quella di verificare violazioni di questo genere e sanzionarle. La diffusione di video che riprendono violenze sessuali inoltre è un reato (art. 734 bis del Codice Penale) punibile con l’arresto da tre a sei mesi.