Una storia controversa e ricca di retroscena quella di Ciro Perrella, classe 1983, stimato essere una delle figure apicali del clan D’Amico di Ponticelli, seppure il suo debutto sia avvenuto in veste di perno portante dei De Martino-Perrella-Circone, organizzazione nata contestualmente alla dissoluzione del clan Sarno, in seguito al pentimento delle figure più autorevoli del clan che per circa trent’anni aveva tenuto sotto scacco la periferia orientale di Napoli e diversi comuni dell’entroterra vesuviano.
Quella costituita dai De Martino-Perrella-Circone era una delle tante organizzazioni che mirava a colmare il vuoto di potere scaturito dalla fine dell’era dei Sarno e che mirava ad accaparrarsi il controllo degli affari illeciti a Ponticelli. Un piano stravolto radicalmente da una serie di eventi che hanno portato i De Martino ad allearsi con i De Micco, in seguito all’omicidio di Massimo Imbimbo, nipote del ras Francesco De Martino, assassinato proprio dai cosiddetti “Bodo”, mentre i Perrella andranno a costituire lo zoccolo duro del clan D’Amico, affiancando i fratelli Antonio e Giuseppe. Un legame ulteriormente consolidato da un matrimonio: quello tra Ciro Perrella e Rosaria Scarallo, sorella di Anna detta cipolla, moglie del boss Antonio D’Amico.
Un’unione nata malgrado l’agguato subito da Perrella, ordinato dalla “passillona”, Annunziata D’Amico, sorella dei fondatori dell’omonimo clan che in seguito all’arresto dei fratelli ha ricoperto il ruolo di reggente. Una vicenda risalente al momento storico in cui Perrella era un perno portante dell’organizzazione con la quale i D’Amico erano in guerra per il controllo del territorio. A rivelare il retroscena, uno dei killer ai quali la donna-boss commissionò l’agguato, oggi collaboratore di giustizia. Si tratta di Alfredo Troia, affiliato all’omonimo clan operante nel comune di San Giorgio a Cremano, ma che entrò in affari con diverse organizzazioni, poi passato dalla parte dello Stato, insieme alla moglie Maria Grandulli che per conto del clan del D’Amico aveva gestito una delle piazze di droga più redditizie.
Troia, in uno dei suoi primi verbali, risalenti al 21 marzo 2014, dichiara: “Ho partecipato ad una sparatoria commessa in relazione alla guerra tra i clan D’Amico e Perrella; ciò quando facevo reati per i D’Amico, non ricordo il periodo. Da una parte vi erano le donne dei D’Amico e dall’altra Ciro Perrella. Io avevo rapporti con i D’Amico perchè mia madre abita nel Conocal ed i D’Amico mi stavano aiutando ad uscire dalla tossicodipendenza. Io ho sparato contro Ciro Perrella che stava sul balcone e ho sparato contro questi con una mitraglietta. Io stavo con Andalù ed è stata la Pastellona o Passilona a danni l’incarico di sparare contro Perrella. E’ stato o’ Mocillo a darmi la mitraglietta su incarico della Passilona. Mocillo di cognome fa Esposito. Ciò è avvenuto circa 3 anni fa e sono stato con i D’Amico per 6-7-8 mesi. Posso dire che è stato Minichini Ciro di Ponticelli ad intervenire con mio zio Troia Ciro per farmi uscire da questa guerra che non mi apparteneva e si trattava di una cosa sorta per questioni di altre famiglie camorristiche.”
Una dichiarazione rimasta senza riscontri, ma che cela uno dei retroscena più clamorosi riconducibili al clan dei “fraulella” del Conocal di Ponticelli.
Perrella fu poi arrestato nel 2011 con l’accusa di tentata estorsione continuata ed aggravata, avendo perpetrato richieste estorsive in nome del gruppo criminale nascente dal lui capeggiato, in danno di alcuni imprenditori della zona. Le vittime, vincendo il timore di eventuali ritorsioni, fornirono un importante contributo collaborativo alle indagini, consentendo l’acquisizione di preziosi elementi di riscontro al quadro indiziario emerso. Minacce estorsive praticate a nome dei “nuovi reggenti del Conocal”. Successivamente accusato di aver gestito una piazza di droga per conto del clan D’Amico, Perrella è stato recentemente scagionato, complice l’assenza elementi oggettivi che ne provassero il coinvolgimento diretto negli affari dell’organizzazione.
Proprio durante il periodo di detenzione, Perrella fu protagonista di un altro episodio che ha conquistato le pagine dei giornali. Nel corso di un dialogo intercettato in carcere, il detenuto esterna a sua moglie Rosaria Scarallo la volontà di lavorare per guadagnare il denaro utile a garantirgli una detenzione più dignitosa. Una premessa che scatena l’ira della donna che ammonisce con veemenza il marito, minacciando il suicidio qualora si fosse reso autore di “una condotta onesta”.
“Fino ad ora ce l’ho sempre fatta perché stiamo a due nella stanza. Dobbiamo spendere 160 euro, sono 80 ciascuno. Ora sono solo io perché
Paperino (Rosario Buonomo altro pregiudicato del rione Conocal) non li tiene… hai capito com’è? E la stecca di sigarette, due tabacchi
a lui ed è saltato il primo 50 euro. Devo uscire per forza con 110, 120 euro… Rosaria è malamente se mi fanno lavorare con il problema che tengo? Io scendo a lavorare in estate…”
La Scarallo non vive bene quell’eventualità e non fa niente per nascondere il suo dissenso al marito: “Ma che scendi a fare!”, replica alzando la voce.
“Mi danno 4/500 euro al mese, ma che ce ne fotte!”. afferma Perrella, suscitando l’ulteriore ira della moglie: “Tu non lavori. Sull’anima di mio fratello, ci uccidiamo…perché sto sfizio alla gente io non ce lo do…”.
Dal suo canto, l’uomo sembra ormai convinto della decisione presa e replica infastidito: “…ma sei scema? Mica è una figura di merda!”.
La moglie archivia la conversazione così: “Vabbuono, non ci intossichiamo adesso. Poi lo facciamo quando scendi a lavorare, ora mi scoccio già da adesso. Tu non devi lavorare”.
Di recente, il nome di Ciro Perrella è nuovamente tornato ricorrente nei dialoghi intercettati per ricostruire i fatti di camorra più salienti che hanno portato all’arresto di circa 60 persone lo scorso ottobre. Troncata la relazione con Rosaria Scarallo, Perrella si è legato sentimentalmente alla mamma di Francesco Petri, uno dei rampolli del “nuovo clan D’Amico”, nonchè giovane compagno di una delle figlie del boss Antonio D’Amico con il quale ha avuto un bambino. I riferimenti a Perrella si fanno incalzanti non solo nelle conversazioni che ne annunciano l’imminente scarcerazione: diversi interpreti della malavita locale sottolineano come quell’evento fosse destinato a rilanciare le quotazioni del clan D’Amico.
Tuttavia, il ras è stato soprattutto protagonista di un episodio eclatante che concorre a ricostruire lo spessore criminale di Alessio Bossis, il 22enne assassinato lo scorso ottobre. A gennaio del 2019, per ottenere “soddisfazione e rispetto”, Bossis costrinse la famiglia del fidanzato della sua ex a lasciare l’alloggio popolare in cui vivevano in viale Carlo Miranda a Ponticelli. La figlia di Antonio D’Amico, il temuto Tonino fraulella, un tempo era legata sentimentalmente a Bossis. La ragazza troncò la relazione per ritornare insieme al suo primo fidanzato, Francesco Petri, dal quale ha avuto anche un figlio. La reazione di Bossis al tradimento fu efferata: dapprima pestò Petri e poi ordinò lo sgombero forzato dell’intera famiglia dall’alloggio in cui abitavano. Infine, si appropriò della casa sottratta con la forza all’attuale fidanzato della sue ex. Un pestaggio di cui Bossis si era vantato al telefono con un amico: “non le sta mettendo più le storie, sai perchè? Ha la faccia brutta… e sta proprio inguaiato sta!”, afferma non riuscendo a trattenere le risate di scherno.
L’equilibrio venne ripristinato solo in seguito all’intervento di Ciro Perrella, compagno della madre di Petri e zio della ragazza, in quanto ex marito della sorella della madre. Nell’ambito della conversazione telefonica intrattenuta con Bossis, servendosi del telefono cellulare di cui disponeva in carcere, Ciro Perrella pur mostrando di comprendere le ragioni che lo avessero spinto ad agire in quel modo, lo esortava a rivedere la sua decisione, riconsegnando la casa alla sua compagna, quale atto di rispetto per il suo status di detenuto: “solo persone come noi resistono ad andare avanti, perchè abbiamo le palle vere e io lo so che tu le tieni perchè mi hanno spiegato.” Bossis dal suo canto rilancia: “le soddisfazioni già me le sono prese, altra gente non ha l’onore di parlare con me”.
Nel corso della lunga conversazione con il defunto Bossis, Perrella si lascia andare a un accorato sfogo: “pensa che ho subito anche io in quella famiglia, pensa come stavo io… pensa come sto, sono talmente arrabbiato che non hai idea, anzi ti posso dire due parole, mi credi ti sei salvato, stammi a sentire a me. Per noi che facciamo questa vita, quelle femmine vicino a noi non possono stare.”
Perrella riuscì ad entrare in empatia con Bossis, ottenendo la restituzione dell’appartamento. Particolarmente significativi, in virtù dell’assassinio del 22enne con velleità da boss, i consigli che Perrella gli aveva impartito, prima di chiudere la conversazione: “non andartene sempre girando per mezzo le strade…devi stare più riservato, devi scendere ogni tanto…quando si deve scendere…senza discoteca ed andare a ballare.”
Tuttavia, Bossis onorò la promessa fatta a Perrella, incontrandosi con Francesco Petri per restituirgli le chiavi dell’appartamento, solo in seguito ad un controllo dei carabinieri che non solo accertò l’assenza dei legittimi proprietari dell’abitazione, ma che portò anche al sequestro di un lampeggiante simile a quelli in dotazione alle forze dell’ordine.