Sale la tensione nel Parco Conocal di Ponticelli, storica roccaforte del clan D’Amico, dove intorno alle 19 di martedì 27 giugno, un commando ha fatto irruzione in via Maria Callas per inscenare quella che sembra essere un’azione dimostrativa, sparando diversi colpi d’arma da fuoco ad altezza d’uomo, alcuni dei quali hanno danneggiato delle auto parcheggiate.
Nessun ferito, solo legittima paura tra i residenti in zona che temono di andare incontro all’ennesima escalation di violenza.
Un timore fomentato da alcuni messaggi apparsi sui social network di recente, a firma di amici e parenti di Vicenzo Costanzo soprannominato Ciculill’, il 26enne stimato essere il reggente del clan D’Amico, ucciso lo scorso 5 maggio in un agguato di camorra compiuto nel bel mezzo dei festeggiamenti per la vittoria del terzo scudetto in casa Napoli.
Se fino a poco tempo fa i riferimenti a un ipotetico piano di vendetta erano velati e affidati prettamente alla frase “tempo al tempo” e alla promessa che “quella festa non finisce così”, alludendo chiaramente alla circostanza in cui Costanzo è stato assassinato, negli ultimi giorni e in particolare in seguito al raid avvenuto nel Conocal di Ponticelli, sui social i toni si fanno più accesi ed espliciti: “E che vendetta dobbiamo avere”, ma anche “Ancora un po’”, si legge in un altro post, accompagnato da un’immancabile clessidra e da altre emoticon, tra le quali primeggia una siringa dalla quale gronda una goccia di sangue, icona utilizzata per indicare il legame eterno e indissolubile con il ras ucciso, ma anche l’affiliazione intesa come patto di sangue in nome del quale i suoi fedeli amici e sodali si impegnano ad impugnare le armi per vendicare il torto subito.
Messaggi che concorrono a delineare uno scenario dagli esiti sempre più incerti, soprattutto se si considera l’irruzione di un commando partito dal Conocal la sera successiva all’omicidio di Costanzo e diretto in piazza Volturno a Napoli, il luogo in cui è avvenuto il delitto, per compiere una “stesa”. Intercettati da una volante, il viaggio di ritorno di due componenti del gruppo di fuoco è terminato in carcere: al culmine di un inseguimento, i poliziotti sono riusciti ad arrestare Matteo Nocerino – 19enne marito di una delle figlie del boss Antonio D’Amico – e Gaetano Maranzino, cugino di Costanzo, calciatore di professione.
Un duplice arresto che ha probabilmente costretto i D’amico a rivedere i piani, ma alla vigilia del secondo mese trascorso a piangere la morte violenta del ras, annunciano di disporre della forza camorristica necessaria per vendicare Costanzo, di qui a poco.
Una morte violenta da accettare per amici e familiari, non solo per la giovane età di Costanzo, ma anche alla luce della decisione, annunciata pochi giorni prima di morire, di uscire di scena, ritirandosi dal contesto camorristico per trasferirsi all’estero.
Un delitto maturato in uno scenario tutt’altro che facile da decifrare. Nei giorni precedenti, il giovane ras aveva avuto un litigio piuttosto acceso con un pezzo da novanta della camorra napoletana che controllerebbe il Vasto per conto del clan Contini, la stessa zona in cui Costanzo è stato assassinato. La figlia si era invaghita di Ciculill’, motivo per il quale si sarebbe recata con una certa insistenza nel Conocal di Ponticelli, fino a suscitare l’ira di una delle cugine del ras 26enne che l’avrebbe malmenata. In seguito a quell’episodio, i familiari di Costanzo avrebbero ricevuto la visita del padre della giovane, ma il confronto si sarebbe concluso con una stretta di mano che può aver indotto il giovane a compiere il passo falso che si è rivelato cruciale, abbassando la guardia. Questa, fin qui, la versione supportata con ferma convinzione da amici e parenti del ras ucciso.
Tuttavia, non è un segreto che sulla testa di Costanzo spiccava una vistosa condanna a morte, frutto del timore che potesse capitolare e avviare un percorso di collaborazione, pur di evitare la detenzione. Il ras sarebbe stato costretto a breve a scontare una pena residua di sei anni di reclusione. Un provvedimento che cozzava terribilmente con il desiderio di rintanarsi in Germania per avviare un business e rifarsi una vita e che ha concorso a tracciare uno scenario in cui diverse parti in causa possono aver rilevato un concreto pericolo, deliberando così l’omicidio di Costanzo per preservare il buon esito degli affari del clan D’Amico e non solo.
In quest’ottica, l’ipotesi più accreditata negli ambienti camorristici, invece, è quella che identifica negli attriti con il ras del Vasto il pretesto perfetto per avviare il piano mortale. Resta infatti da chiarire il ruolo ricoperto dagli amici/affiliati che erano con Costanzo quella sera e che consapevoli del pericolo che correva, lo hanno lasciato solo su una panchina, insieme alla fidanzata e due amici che probabilmente fungevano da guardaspalle. Per questa ragione, fin dalle ore successive all’omicidio, ha preso il sopravvento la convinzione che Costanzo sia stato consegnato ai sicari da qualcuno di cui si fidava ciecamente.
L’omicidio, la stesa del giorno dopo sul luogo dell’agguato, i due arresti clamorosi e inaspettati che hanno privato il clan di uno dei due giovani subentrati a Costanzo nella reggenza dell’organizzazione. Una sequenza di eventi che i D’Amico sembrano aver metabolizzato, annunciando la ritrovata volontà di vendicare la morte di Ciculill’.
Un atteggiamento che mette in allerta gli abitanti del Conocal di Ponticelli che per quanto estranei alle dinamiche camorristiche, si vedono, loro malgrado, costretti a vivere in quel clima di concitata e crescente tensione nel quale hanno ormai imparato a fiutare il pericolo.