Erano gli anni in cui il clan D’Amico, radicato nel rione Conocal di Ponticelli, era un‘organizzazione prettamente al femminile, capeggiata da donne che impartivano direttive ad altre donne. Boss in gonnella, spacciatrici dedite alla gestione delle 11 piazze di droga radicate nel rione. Donne spregiudicate ed irriverenti, più ciniche e anaffettive degli uomini, capaci anche di utilizzare la loro femminilità per ingraziarsi figure di spicco della malavita, ma anche alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine.
Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, diversi collaboratori di giustizia hanno concorso a riferire alla magistratura informazioni dalle quali trapela uno scenario surreale, perchè vede coloro che dovrebbero essere impegnati in prima linea nell’attività di contrasto del fenomeno camorristico adottare un atteggiamento compiacente e perfino confidenziale con le spacciatrici, ma anche con le donne che ricoprivano un ruolo di primo ordine all’interno dell’organizzazione.
E’ soprattutto una donna, Maria Grandulli, un tempo affiliata, oggi collaboratrice di giustizia, definita dalla magistratura “un’osservatrice e una narratrice privilegiata delle attività criminali del gruppo”, a far luce sugli scenari camorristici che si sono avvicendati proprio negli anni in cui tra le strade del quartiere Ponticelli si combatteva la faida tra i De Micco e i D’Amico. La Grandulli ha riferito anche che a San Valentino e alla Festa della donna, le forze dell’ordine “in confidenza” con le spacciatrici del Conocal erano solite recarsi sul loro “posto di lavoro”, non per effettuare controlli e perquisizioni, ma per omaggiarle di mimose.
Stando a quanto racconta la collaboratrice in tantissime circostanze le forze dell’ordine avrebbero “chiuso un occhio” su espressa richiesta delle lady-camorra, preservando i loro business illeciti, in cambio di soffiate o informazioni utili, il più delle volte, ad effettuare perquisizioni ed arresti a carico dei clan rivali o di affiliati alla loro stessa cosca d’appartenenza dei quali necessitavano di disfarsi.
Un rapporto più che informale tutt’altro che coltivato in segreto, tant’è vero che ha fatto molto discutere la presenza di alcuni noti esponenti delle forze dell’ordine al funerale di Annunziata D’Amico, in veste ufficiosa e non ufficiale, soprattutto perchè si mostravano commossi, provati ed affranti dalla morte violenta della donna-boss, al pari di familiari, amici e affiliati al clan.
L’esistenza di un rapporto quantomeno anomalo tra le forze dell’ordine e le donne del clan D’Amico viene confermato non solo dai collaboratori di giustizia, ma anche dagli abitanti del Conocal, quartier generale della cosca, che rifriscono a loro volta di aver assistito a decine di episodi che hanno concorso ad accrescere il senso di sfiducia verso lo Stato e le istituzioni. In primis, l’assidua frequenza con la quale i suddetti rappresentanti delle forze dell’ordine erano soliti recarsi presso le abitazioni di diverse lady-camorra. Visite di soggetti singoli e per questo, agli occhi dei residenti in zona, difficilmente intenti a svolgere il proprio lavoro. Le donne del clan, dal loro canto si sarebbero vantate a più riprese dell’ascendente che esercitavano su quegli uomini, soprattutto per perseguire un intento ben preciso: dissuadere i cittadini dal denunciare e/o inoltrare segnalazioni.
Oggi come allora, proprio per questo motivo gli abitanti del rione minacciati e taglieggiati dal clan si dichiarano restii a denunciare, in quanto temono di esporsi a un ulteriore pericolo, laddove l’informazione venisse spifferata alla controparte. In assenza di elementi certi che possano concorrere ad ufficializzare l’inversione di rotta rispetto al passato, i cittadini estranei alle dinamiche camorristiche che abitano nel fortino dei D’Amico continuano a nutrire un forte senso di sfiducia in relazione all’operato delle forze dell’ordine. Un sentimento inasprito da quanto accaduto in occasione del trigesimo della morte di Vincenzo Costanzo, il 26enne stimato essere il reggente del clan D’Amico, ucciso in un agguato di camorra lo scorso 5 maggio.
Un nutrito corteo di moto e pedoni ha inondato le strade del rione, sconfinando per diversi metri anche per le vie del confinante comune di Volla per raggiungere la chiesa dove ha avuto luogo la cerimonia funebre voluta per commemorare Costanzo a un mese dall’omicidio. Una “performance” plateale che ha anche ostruito il traffico stradale per un arco temporale tutt’altro che breve, proseguita indisturbata e che non ha visto l’intervento di volanti o pattuglie per interrompere la manifestazione non autorizzata.
Un ulteriore e pesantissimo segnale di disfatta che ha concorso ad accrescere l’avvilimento dei cittadini, unitamente a un dilagante senso di abbandono e scoramento che contribuisce a creare un clima utile a favorire le malefatte della camorra.