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Maxiprocesso alla ‘ndrangheta: richieste condanne per uomini dello Stato e imprenditori

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
15 Giugno, 2023
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Il più grande processo mai celebrato contro la ‘ndrangheta e i colletti bianchi che l’avrebbero fiancheggiata, iniziato nel gennaio 2021, sta vivendo in queste ore la sua fase più calda. Al termine della requisitoria, il pool di magistrati della Dda di Catanzaro, guidati dal Procuratore Nicola Gratteri, hanno infatti invocato le condanne per la maggior parte dei soggetti imputati: 322 su 338, per un ammontare di quasi 5mila anni di carcere. Ed ora, un grosso pezzo di Calabria trema.

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Imputati di fronte al Tribunale di Vibo Valentia, infatti, ci sono sì i boss della famiglia mafiosa Mancuso di Limbadi e delle altre cosche del vibonese, ma anche ex parlamentari, ex consiglieri regionali, sindaci, uomini dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, professionisti e imprenditori. Sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, usura, riciclaggio, detenzione illegale di armi ed esplosivo, ricettazione, traffico di influenze illecite, trasferimento fraudolento di valori, rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio, abuso d’ufficio aggravato, traffico di droga.

«Sono le 18:30 del 7 giugno e siamo arrivati alla sintesi di questo processo sul quale molti avevano scommesso sull’impossibilità di celebrarlo, da tanti punti vista. Dal punto di vista del numero degli imputati, dell’istruttoria dibattimentale, della giovane età del collegio, dei pubblici ministeri. C’era una sorta di ‘tifo’ a che questo processo non si celebrasse». Queste le parole di Gratteri, che ha messo il marchio su un procedimento che, dall’altro capo dello Stretto, ha davvero molte somiglianze con il mastodontico “Maxi” istruito negli anni Ottanta dal pool antimafia di Falcone e Borsellino. «Io posso dire, avendo i capelli bianchi e avendo fatto questo lavoro per decenni, che, complessivamente, il processo si è svolto con serenità – ha aggiunto Gratteri -. Se ci sono stati momenti di tensione, in processi di questo tipo sono normali. È il sale del processo. Qualche volta si è andati fuori dalle linee. Ma non è un problema». Il Procuratore ha poi sciolinato le richieste di pena (nonché di 13 assoluzioni e 3 nullità del decreto che dispone il giudizio o prescrizione).

Tra i soggetti alla sbarra di cui la Dda ha richiesto la condanna, accanto ai pezzi da novanta della ‘ndrangheta, ci sono figure politico-istituzionali di grande rilievo. Il nome più altisonante è quello dell’avvocato ed ex deputato e senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli (che del partito berlusconiano fu anche coordinatore in Calabria). I pm hanno chiesto per lui 17 anni di galera per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa: avrebbe favorito gli uomini della potentissima cosca Mancuso di Limbadi, nonché l’imprenditore Rocco Delfino, per il quale sono stati chiesti 12 anni di reclusione. I due sarebbero stati messi in contatto dal boss Luigi Mancuso, per il quale si sta celebrando un processo parallelo. Pittelli è inquadrato dalla Dda come la “cerniera tra i due mondi”, in una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere”. Per i magistrati, Pittelli era infatti “l’affarista massone dei boss della ‘ndrangheta calabrese”, con cui si rapportava attraverso “circuiti bancari”, “società straniere”, “università” e “le istituzioni tutte”. Egli sarebbe dunque diventato il legale dei boss “in quanto capace di mettere mano ai processi con le sue ambigue conoscenze e rapporti di ‘amicizia’ con magistrati”.

I pm puntano poi il dito contro l’ex sindaco di Pizzo Calabro, l’ex renziano Gianluca Callipo, il quale è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per lui sono stati richiesti 17 anni di carcere, tre in meno di quanti, secondo la Dda, ne merita l’ex consigliere regionale, assessore e presidente del consiglio provinciale di Vibo Valentia Pietro Giamborino, considerato intraneo alla cosca di Piscopio, ai cui membri avrebbe promesso lavori e appalti in cambio di voti. Altri nomi “ingombranti” sono quelli dell’ex finanziere della Dda di Catanzaro, poi dipendente della Presidenza del Consiglio a Reggio Calabria, Michele Marinaro (per il quale sono stati chiesti 17 anni di carcere), accusato di concorso esterno per avere fornito, attraverso Pittelli, notizie su investigazioni in atto nei confronti degli ‘ndranghetisti del vibonese, e del tenente colonnello dell’Arma dei Carabinieri Giorgio Naselli (chiesti 8 anni di carcere), che sarebbe stato spinto da Pittelli ad acquisire notizie coperte da segreto al fine di avvantaggiare Delfino. Avrebbe rivelato agli ‘ndranghetisti informazioni coperte da segreto istruttorio anche Antonio Ventura, che fu appuntato scelto in servizio nel Reparto operativo Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Vibo Valentia, per il quale vengono richiesti 17 anni di carcere.

Stabilmente colluso con i mafiosi calabresi sarebbe stato poi l’avvocato Francesco Stilo (per cui l’accusa ha chiesto 15 anni): secondo la Dda è responsabile del reato di concorso esterno per avere intrattenuto stabili rapporti di collusione con le cosche Mancuso, Lo Bianco-Barba, Pardea Ranisi, Fiarè-Razionale-Gasparro e Accorinti, comunicando agli ‘ndranghetisti notizie coperte da segreto istruttorio. La famiglia ‘ndranghetista dei Mancuso sarebbe stata, secondo la Dda, il perno attorno a cui ruotava l’attività di imprenditori ritenuti associati alla ‘ndrangheta, come Gianfranco Ferrante (per cui si chiedono 26 anni di galera), Mario Lo Riggio (22 anni), Mario e Umberto Maurizio Artusa (per i quali vengono chiesti rispettivamente 29 e 26 anni di detenzione), che sarebbero stati fedeli ai Mancuso, e Mario Lo Riggio (22 anni), che per l’accusa era inserito nella cosca Fiarè-Gasparro-Razionale di San Gregorio d’Ippona.

Ora saranno i giudici a stabilire se l’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro avrà retto al vaglio del dibattimento. Se così sarà, non si potrà che parlare dell’ennesimo terremoto politico-affaristico-mafioso che ha investito, e fortemente indebolito, il nostro Paese.

Fonte: L’indipendente

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