Vincenzo Costanzo aveva deciso di ritirarsi dal contesto camorristico ponticellese e poco prima di essere ucciso aveva manifestato la volontà di trasferirsi all’estero per investire in nuovi canali i proventi degli affari illeciti messi da parte nel corso degli anni in cui aveva ricoperto il ruolo di ras del rione Conocal di Ponticelli.
Un dettaglio che delinea uno scenario tutto da decifrare e che potrebbe concorrere a far luce sulle circostanze in cui è maturato l’agguato in cui ha perso la vita il 26enne nipote acquisito del boss Antonio D’Amico. Prima di tutto per la sequenza di eventi che si sono alternati, a distanza ravvicinata, durante quelli che sappiamo essere i suoi ultimi giorni di vita.
La scelta di Costanzo di prendere le distanze dalla camorra è maturata in un momento storico ben preciso: in primis, alla vigilia dell’imminente ingresso in carcere, in quanto sarebbe stato chiamato a scontare una pena residua che lo avrebbe privato della libertà per svariati anni. Una condizione che lo avrebbe reso sicuramente insofferente e che mal gli avrebbe fatto tollerare la vita carceraria: in quello scenario, soprattutto in virtù dell’annunciata volontà di prendere le distanze dalla malavita di Ponticelli per voltare pagina e rifarsi una nuova vita altrove, lontano da tutto e da tutti, la probabilità che potesse optare per il pentimento appariva tutt’altro che remota. Uno scenario che esponeva a un pericolo tangibile gli altri affiliati al suo stesso clan, poco importa se amici d’infanzia o parenti. Nel Conocal, l’omicidio di Costanzo è stato introdotto da un clima di forte apprensione che già nei giorni precedenti rendeva palpabile la sua condanna a morte.
Se fino a poche settimane prima Costanzo era stimato essere una pedina fondamentale dello scacchiere camorristico locale, negli ultimi tempi lo scenario era radicalmente cambiato. In primis, lo annunciavano le foto che lo immortalavano in compagnia dei rampolli dei De Micco-De Martino, affiliati alla cosca storicamente rivale ai D’Amico, il clan di famiglia che in tenera età era stato chiamato a rappresentare, contestualmente al blitz che nel 2016 portò all’arresto di centinaia di persone. Uno smacco enorme, imperdonabile, sintomatico del disamore di Costanzo per il clan D’Amico e per tutto quello che rappresenta, fosse anche solo per il fatto che i giovani con i quali si era mostrato affiatato e sorridente a ridosso delle piste da ballo capitoline erano parte integrante del clan che aveva assassinato Annunziata D’Amico, la sorella dei boss Antonio e Giuseppe, a loro subentrata nella reggenza del clan e uccisa come un capoclan il 10 ottobre del 2015. Un delitto mai perdonato e non ancora vendicato.
Costanzo potrebbe aver pagato con la vita una grossolana serie di ingenuità, collezionate negli ultimi tempi.
L’affiatamento con i rivali ostentato sui social, ma anche la volontà di uscire dal circuito criminale, come se da certi giri ci si possa defilare con la stessa disinvoltura con la quale ci si licenzia da un lavoro non più appagante. E soprattutto le ruggini con un elemento di spicco di Napoli centro, radicato nella zona del Borgo di Sant’Antonio Abate, territorio sotto la sfera egemone dei Contini, perno portante dell’Alleanza di Secondigliano, insieme ai Mallardo e ai Licciardi. Un ras che non avrebbe gradito la mancanza di rispetto indirizzata a sua figlia da una delle cugine di Costanzo che si sarebbe resa autrice di un violento pestaggio. Un’aggressione riconducibile a un movente passionale: un alibi prontamente sbandierato in situazioni di questo tipo negli ambienti camorristici soprattutto, questo è doveroso precisarlo, l’unico dato certo è che pochi giorni prima del delitto, proprio nel rione controllato dai D’Amico c’è stato un incontro chiarificatore tra il padre della ragazza malmenata e i familiari di Costanzo. Un affronto che il ras di Napoli centro può aver finto di perdonare, ma che può aver fornito un ulteriore pretesto alle parti coinvolte e che può aver concorso a far ulteriormente vacillare la figura di Costanzo agli occhi degli altri esponenti della malavita implicati a vario titolo nella faccenda e il cui destino era legato a filo doppio a quello del 26enne intenzionato a dismettere gli abiti del camorrista.
Un intreccio di fatti e persone che ricostruisce uno scenario camorristico tutto da investigare.
In primis, perchè la fazione antagonista dei De Micco a Ponticelli – alleati dei Mazzarella – orbita proprio sotto l’ala protettrice dell’Alleanza di Secondigliano, i quali avrebbero avuto un ulteriore motivazione per disfarsi di un ormai ex affiliato, tanto scomodo quanto pericoloso, riscattando al contempo l’offesa arrecata a un elemento di spicco dell’organizzazione.
Appare abbastanza plausibile che in virtù dello scenario che si era venuto a delineare, la morte di Costanzo possa rappresentare il prezzo da pagare per stipulare un nuovo equilibrio sul territorio. Un dato di fatto che troverebbe riscontro anche nel clima instauratosi a Ponticelli dopo la morte del 26enne. Nei tre mesi precedenti – da febbraio ad aprile – si erano registrati ben tre agguati. Tre delitti strategici, dettati da logiche ben precise e finalizzati a consolidare il controllo del territorio da parte dei De Micco che nel Conocal sarebbero riusciti ad insediarsi senza particolari affanni, grazie a una serie di unioni tra le figlie del boss D’Amico e alcuni giovani a loro volta imparentati con i famigerati “Bodo”. Seppure quel nuovo equilibrio si stesse già delineando, in virtù dell’uscita di scena volontaria di Costanzo al quale erano subentrati proprio i due mariti delle figlie del boss fondatore del clan storicamente egemone nel Conocal, resta il fatto che la sua dissociazione dal mondo camorristico può aver turbato tutte le parti in causa che ne temevano il possibile pentimento.
Come detto, Costanzo è rimasto vittima della sua stessa ingenuità. Fatale quella che lo ha condotto “nella tana del lupo”. Resta infatti tutta da decifrare la scelta di recarsi proprio nella zona del Borgo di Sant’Antonio Abate durante i caotici festeggiamenti per la vittoria dello scudetto del Napoli. Costanzo ha pensato che gli bastasse tagliare i folti ricci biondi che lo rendevano vistosamente riconoscibile per passare inosservato. Un epic fail letale per il 26enne, probabilmente attirato in una trappola mortale. Quest’ultima appare la spiegazione più plausibile che trova conferma anche nella condotta adottata dal gruppo di amici che lo accompagnavano quella sera e che hanno trascorso la prima parte della serata in sua compagnia, per poi allontanarsi poco prima che i killer facessero irruzione in piazza Volturno. Fin dalle ore successive all’omicidio di Costanzo, il rumors che circola con maggiore insistenza nel Conocal di Ponticelli è quello che indica il filatore proprio tra gli amici che lo hanno accompagnato in quell’ultima uscita e che si sarebbero prontamente dileguati prima di lanciare ai sicari il segnale utile per entrare in azione. Motivo per il quale Costanzo è stato colto di sorpresa, seduto su una panchina insieme alla fidanzata e due amici, anche loro rimasti lievemente feriti dagli spari.
Un altro rebus ancora irrisolto è quello legato ai video che circolano sulle chat di WhatsApp di amici e parenti di Costanzo e che ritraggono gli ultimi istanti di vita del giovane. Particolarmente macabro un frame che lo riprende mentre viene trascinato a spalla, sanguinante, ma cosciente da due persone, con i pantaloni abbassati e il sangue che sgorga vistosamente dalle ferite. Chi ha girato quei video e perché? Un altro quesito che attende una risposta chiara, plausibile ed esaustiva.