La maggiore Daniela Nuzzo è comandante della compagnia di Rho, il territorio di Senago è di sua competenza. Ha partecipato alle ricerche di Giulia Tramontano e alle indagini su Alessandro Impagnatiello ed è stata lei a scoprire il cadavere della ragazza nell’intercapedine di un locale box a 500 metri dalla casa del barman dell’Armani Bamboo. In un’intervista all’edizione milanese di Repubblica dice che su Impagnatiello «Sin da subito io e il comandante di stazione di Senago abbiamo avuto dei dubbi. L’indagato nella denuncia diceva che Giulia si era portata via dei soldi, il passaporto, effetti personali, poteva essere anche plausibile che se ne fosse andata dopo dei litigi di quel tenore. In cuore mio c’era l’ottimismo di pensarlo, di sperarlo. Ma io faccio questo lavoro da quando ho 19 anni, già da subito siamo formati per andare oltre le apparenze, e i segnali che avevamo hanno fatto traballare l’ipotesi messa in campo dall’indagato».
Nuzzo spiega che Impagnatiello ha detto all’inizio ai carabinieri che Giulia Tramontano era uscita per comprare le sigarette: «Ci è parso strano. Come la precisione di quello che si fosse portata via, 500 euro, il passaporto, il bancomat, le carte di credito. E che dopo così poche ore fosse venuto a fare denuncia. La mattina seguente abbiamo subito sentito l’altra compagna, che è stata molto sincera e ci ha dato elementi per capire che dietro a quella personalità all’apparenza pulita, con un lavoro in un posto alla moda e una famiglia dietro all’apparenza come tante, c’era una mente machiavellica, con delle zone d’ombra. L’abbiamo capito quando lei ci ha messo davanti il test del Dna falso. E poi sono state cruciali le incongruenze tra quello che ci ha raccontato lei e il racconto di lui rispetto a quella notte: ha omesso di essere andato da lei».
Sulla scoperta del cadavere «fino all’ultimo ho sperato che non fosse vero. Non potevo credere che fosse andata così. Quando l’ho vista è stato come una resa». È stata lei a comunicare alla famiglia la notizia: «Conoscendoli cresce ancora di più l’immedesimazione. Per i genitori, per la sorella. Io ho due sorelle. Mi chiedo, potevamo fare qualcosa? Come possiamo intercettare queste escalation di violenza? Lo facciamo con un ascolto attento, con empatia, a chi arriva da noi in caserma. L’unica consolazione ora è che ci stiamo lavorando con anima e passione, in un modo ancora più sentito, abbiamo lavorato con l’adrenalina spinti dal “dobbiamo capire cos’è successo”, speravo fosse partita ma sapevo in fondo che non era così».