La capacità di fornire appoggio ai latitanti rappresenta una delle espressioni più concrete del potere esercitato da un clan che così facendo dimostra di disporre di un notevole controllo del territorio, oltre che di una fitta rete di soggetti dei che si prodigano per eludere le ricerche delle forze dell’ordine, ma è soprattutto una plateale dimostrazione di omertà da parte dei cittadini che a loro volta assumono una condotta in grado di agevolare la copertura del soggetto ospitato.
Luisa De Stefano, stimata essere la reggente del clan delle “pazzignane” radicato nel rione De Gasperi di Ponitcelli, negli anni in cui la sua organizzazione, unitamente alle altre cosce confluite nell’alleanza costituita dai vecchi clan dell’area orientale di Napoli, tra gli altri, ha offerto appoggio al latitante Ciro Contini, ma anche ad Emanuele Abbate, stimato essere il figlio naturale di suo cugino Antonio Maione. Abbate trovò rifugio e ospitalità a Ponticelli quando era minorenne e ricercato proprio perchè destinatario di un provvedimento emesso dal tribunale minorile di Napoli e fu poi arrestato dai carabinieri per una rapina nei confronti di Vittorio Esposito, figlio di Pacifico, cugino dei Sarno condannato all’ergastolo per la strage del bar Sayonara. A chiarire il ruolo di Abbate, classe 1999, concorre un collaboratore di giustizia eccellente: Tommaso Schisa, figlio della “pazzignana” Luisa De Stefano che non solo lo ha descrritto come un assiduo frequentatore della casa di sua madre, ma lo ha anche indicato come un soggetto assai vicino ad Alessio Bossis.
Il minore, nel periodo trascorso a casa di sua zia Luisa De Stefano, non è stato trattato come un ospite. Particolarmente significativo, infatti, un dialogo intercettato tra Abbate e sua zia Vincenza Maione che gli segnala la presenza delle forze dell’ordine in zona, intente ad effettuare dei controlli e pertanto gli raccomanda di non uscire di casa. Il minore tranquillizza la zia anticipandole di non avere necessità di uscire, in quanto intenzionato ad andare a letto presto perchè il giorno seguente era stato convocato da Michele Minichini per andare a raccogliere i soldi delle estorsioni nella zona di Piazza Mercato.
Ben più eclatanti le gesta compiute dal rampollo di una delle famiglie camorristiche più datate del centro storico napoletano, Ciro Contini che proprio durante il periodo vissuto a Ponticelli da latitante partecipò alla tentata rapina di una gioielleria di Saviano.
In quella circostanza, Ciro Contini agì da mandante, organizzatore e partecipe della tentata rapina che non sortì l’effetto sperato dal commando che fece irruzione nella gioielleria con l’intento di impossessarsi di gioielli, oltre che dell’incasso del negozio. I rapinatori Alessandro Pacifico – uomo di Ciro Contini – e Ciretta Gala – cugina di Michele Minichini – entrarono nella gioielleria fingendo di essere dei clienti interessati all’acquisto di alcuni preziosi per poi cercare di impadronirsene brutalmente, pertanto puntarono una pistola alla nuca del gioielliere per intimargli di assecondare le loro richieste. Dalle minacce passarono ai fatti cercando di indirizzargli un colpo d’arma da fuoco, infine l’uomo fu ripetutamente colpito alla testa con il calcio della pistola. Anche sua figlia fu strattonata e percossa, ma ciononostante i proprietari della gioielleria si ribellarono ai rapinatori. Il gioielliere, infatti, riuscì ad impugnare la pistola che deteneva legalmente ed esplose una serie di colpi verso i rapinatori che furono costretti a fuggire, supportati da una Ford C-Max grigia che li attendeva all’esterno del locale. Ciretta Gala, cugina di Michele Minichini, rimase ferita a una gamba. Determinanti nella ricostruzione ancor più chiara dei fatti e nell’accertare la responsabilità di altri soggetti che a vario titolo parteciparono alla rapina, le intercettazioni delle conversazioni avvenute in casa di Luisa De Stefano, le quali rivelano che lo stesso Contini ha assistito la rapinatrice ferita e si è interessato di occultare l’auto utilizzata dai rapinatori.
Dalle intercettazioni trapela la preoccupazione di Contini in ordine alle condizioni di salute di Ciretta Gala, non solo perchè si rifiutava di mangiare, ma anche perchè la gamba ferita si era vistosamente gonfiata. Motivo per il quale Contini si prodiga per indurre qualcuno a convincere la ragazza a nutrirsi e ad assumere un antibiotico; inoltre, prospetta l’ipotesi di spostarla in un albergo e di farla curare da un medico di Secondigliano di sua conoscenza. L’intera convalescenza della ragazza sarà gestita dagli affiliati al clan con l’ausilio di medici conniventi, senza mai neanche prendere in considerazione l’idea di condurla in ospedale, affinchè la vicenda restasse segreta e la posizione dei soggetti che avevano partecipato alla tentata rapina non fosse esposta a rischi.
Nei giorni successivi sarà Luisa De Stefano a chiarire in maniera ancora più esaustiva il ruolo ricoperto da Ciro Contini nella mancata rapina alla gioielleria di Saviano. Quando sua cugina Vincenza Maione le chiede: “Ma stava pure questo?”, la pazzignana risponde: “lui stava nella macchina”. Lo stesso Contini mostra un certo timore quando apprende che l’auto utilizzata per l’azione delittuosa non era stata distrutta, in quanto su quella vettura erano presenti le sue impronte. Proprio quella tentata rapina culminata in un episodio tanto eclatante concorre a minare i rapporti tra la padrona di casa e Ciro Contini. In quel momento storico Ciro Contini è rifugiato nell’abitazione in disuso di una delle sorelle di Luisa De Stefano trasferitasi in Germania. “La Pazzignana” non vuole rischiare di avere rogne per via di quella vicenda e propone al latitante di trasferirsi in un appartamento nella zona di Acerra che lei stessa aveva provveduto ad affittare per la cifra di 280 euro al mese. Latitante fino al 12 maggio del 2016, Ciro Contini partecipa anche al piano che l’organizzazione ha cercato di ideare per uccidere Salvatore D’Amico detto ‘o pirata
Durante la latitanza Contini trovò ospitalità anche a Marigliano, succursale del clan delle pazzignane nell’entroterra vesuviano, in quanto zona di competenza del boss Luigi Esposito detto ‘o sciamarro, suocero di Tommaso Schisa all’epoca dei fatti. E proprio presso l’abitazione del suocero di Schisa e in un altro alloggio adiacente, Ciro Contini trovò ospitalità, oltre che a casa della madre di Michele Minichini a Barra.
Assai solido il rapporto tra Contini e i membri dei clan alleati di Napoli est, anche durante il periodo di detenzione a Secondigliano, dove condivide la cella e il telefono cellulare con Christian Marfella. Se i sodali quando si riferiscono al Ciro Contini latitante sono soliti chiamarlo Alessandro, nelle conversazioni telefoniche che avvengono durante la detenzione, i fratelli Minichini lo indicano come “o cugino”, a riprova del forte legame associativo che intercorre tra le parti e che li porta a considerarsi vicendevolmente come membri della stessa famiglia.