Correva l’anno 2014 e la serenità del quartiere Ponticelli era messa a dura prova dalla faida di camorra tra due clan fermamente intenzionati ad appropriarsi del controllo del territorio, a qualunque costo. Su un versante la famiglia D’Amico, proveniente dal centro di Napoli, nella fattispecie dalla Pignasecca e dirottata nel Parco Conocal di Ponticelli in seguito al terremoto del 1980, dove era riuscita a fondare un clan, prima al soldo dei Sarno, poi intenzionato a colmare il vuoto di potere scaturito proprio dal pentimento delle figure apicali della cosca del rione De Gasperi. Sull’altro versante i De Micco, una squadriglia di giovani affascinata e galvanizzata dal mito di Marco De Micco: un ragazzo timido e taciturno proveniente da una famiglia estranea alle dinamiche camorristiche, cresciuto in simbiosi con i figli dei Sarno e fortemente animato dal desiderio di creare un clan tutto suo per sfruttare le opportunità che la camorra era in grado di fornire ad un giovane cinico e spregiudicato come lui, ancor più in un momento storico dagli esiti incerti, come quello scaturito dalla dissoluzione del clan Sarno.
Il conflitto che scaturì dallo scontro tra i due clan fece registrare una serie di omicidi e azioni violente. La sera del 10 gennaio, il gruppo armato dei De Micco mise la firma su un pesantissimo tentato omicidio: un uomo di 26 anni, mentre era alla guida della sua auto, fu ferito da uno sconosciuto che lo affiancò a bordo di un’altra vettura. L’agguato si consumò in via al Chiaro di Luna nel rione Conocal di Ponticelli, il fortino del clan D’Amico. L’uomo raggiunto da un proiettile all’addome non è un affiliato qualunque: si tratta di Carmine Aloia, marito della primogenita del boss Antonio D’Amico, reggente dell’omonimo clan. Aloia riuscì a scampare alla morte, complice un errore di mira commesso dai sicari, rimediando una ferita di lieve entità.
Quest’ultimo episodio spicca tra le prime condanne inflitte ai fedelissimi del clan De Micco. Infatti, per l’agguato perpetrato ai danni del genero del boss Antonio D’Amico, oltre che per i reati di associazione a delinquere di stampo camorristico e spaccio di droga, furono condannati a sei anni e otto mesi di carcere Gennaro Volpicelli, Omar Marino, Giuseppe Quagliariello e Ferdinando Viscovo; sei anni per Vincenzo Scarpato, Roberto Boccardi, Enea De Luca e soprattutto Antonio Nocerino detto “brodino” che ormai è imparentato con la famiglia D’Amico. Suo cugino Matteo Nocerino ha infatti sposato una delle figlie del boss Antonio D’Amico, nonchè cognata di Carmine Aloia, quello stesso cognato che pochi anni prima aveva rischiato di rendere sua sorella vedova, qualora Nocerino e company fossero riusciti ad assassinarlo.
Il collaboratore di giustizia Tommaso Schisa di recente ha rivelato alla magistratura che Roberto Boccardi gli avrebbe confessato di essere l’esecutore materiale del delitto, precisando esplicitamente di aver sparato nella pancia ad Aloia. Tuttavia, la partecipazione di Antonio Nocerino alle azioni delittuose compiute dai De Micco per avere la meglio sui D’Amico sono ampiamente documentate e provate e in virtù dei legami di parentela nati di recente, concorrono a delineare un quadro surreale, macabro, impensabile fino a pochi anni prima, quando la caccia al nemico ha fatto registrare omicidi, ferimenti e azioni efferate su entrambi i versanti.
Lo scenario contemporaneo sovverte rivalità e acredini, ridisegnando rapidamente una nuova geografia camorristica, dentro e fuori dal rione Conocal di Ponticelli, dove ormai i De Micco sono riusciti facilmente ad attecchire, anche perchè nel fortino dei D’Amico, in un passato recente, la madre di Antonio Nocerino, insieme al suo compagno, gestiva una delle piazze di droga più quotate delle zona. Seppure in seguito all’arresto, una volta ottenuti i domiciliari, la donna sia nuovamente tornata nella zona di San Rocco, dove la sua famiglia è storicamente radicata, nel Conocal continuano a vivere altri parenti di Nocerino, il leader del clan De Micco scarcerato lo scorso ottobre e finito nuovamente dietro le sbarre lo scorso 15 maggio.
Grazie al vincolo di parentela conquistato dal cugino Matteo e che lega a filo doppio i D’Amico e i De Micco, quei conti in sospeso e quelle antiche ruggini, destinate ad essere sedate con il sangue, sembrano ormai appartenere a un passato dimenticato.