Nel primo pomeriggio di lunedì 15 maggio, si sono nuovamente riaperte le porte del carcere per Antonio Nocerino, soprannominato “Brodino”, stimato essere il reggente del clan De Micco di Ponticelli.
Scarcerato lo scorso settembre, la permanenza del 27enne nel quartiere della periferia orientale di Napoli è durata appena 8 mesi. Nocerino aveva trascorso 8 anni in carcere, in seguito all’arresto che mise fine alla sua latitanza a giugno del 2014. In quella circostanza si era reso irreperibile da un mese, allontanandosi arbitrariamente da una comunità dove stava scontando un’altra misura cautelare ricevuta quando era ancora minorenne. I poliziotti della Squadra Mobile di Napoli lo localizzarono in un villaggio ad Agropoli, fecero irruzione nel bungalow dove pernottava alle prime luci dell’alba, sorprendendolo nel sonno. In quel frangente Nocerino finì nel mirino degli inquirenti per associazione di tipo mafioso, in quanto contiguo al gruppo “De Micco-Bodo” che proprio in quegli anni stava iniziando a muovere i primi passi nel contesto malavitoso dell’area orientale di Napoli, complice il vuoto di potere scaturito dalla dissoluzione del clan Sarno.
Nocerino è tra i primi affiliati alla cosca dei De Micco, fondata da un giovanissimo Marco De Micco con l’ausilio dei fratelli Salvatore e Luigi, forti dell’appoggio di un nutrito gruppo di reclute, tra cui spicca soprattutto “brodino”, una recluta fedele e convinta che fin da subito ha ricoperto un ruolo di primo ordine all’interno dell’organizzazione, malgrado la giovane età. Fedeltà e servilismo ostentati e dimostrati con un tatuaggio: “Bodo” sul fianco destro. Una pratica adottata da molti altri affiliati, non a caso quello dei De Micco viene anche indicato come “il clan dei tatuati”. Un rito di iniziazione che nel codice d’onore dei De Micco sostituisce il vecchio patto di sangue e che nel corso degli anni ha contribuito a delineare i tratti distintivi di un vero e proprio brand camorristico adottato da decine di giovani, pronti a tutto pur di servire e onorare i “Bodo”: sono i guerriglieri islamici di Ponticelli, disposti ad andare incontro alla morte, pur di servire e onorare i “Bodo”.
La scalata al potere, oggi come allora, necessita di una cospicua mole di denaro, non solo per provvedere al mantenimento degli affiliati, ma anche per coprire le spese relative all’acquisto di droga e armi.
Oggi come allora, i De Micco puntano principalmente sulle estorsioni praticate con metodi violenti per ringalluzzire le casse del clan.
Per ottemperare a questa necessità, nel 2013/2014 prende forma un modello estorsivo efferato, cinico, inquietante che rappresenta uno dei tratti distintivi della politica dei De Micco. Al braccio armato del clan vengono impartite direttive e strategie ben precise dall'”Università di San Rocco”, il rione-simbolo dell’egemonia del clan dove, oltre ai fratelli De Micco sono nati e cresciuti tantissimi giovani poi confluiti nella cosca. E’ soprattutto lì che i De Micco reclutano manovalanza, soprattutto tra i giovani come Nocerino. E’ proprio lì e grazie alla strategia avviata per imporre la propria egemonia che i De Micco diventano “i Bodo”. O meglio: i temuti Bodo.
Proprio in quegli anni decine di commercianti e imprenditori denunceranno di aver subito pestaggi, talvolta vere e proprie torture, per essersi rifiutati di pagare la tangente al clan e non solo. Dai loro racconti emerge un dettaglio macabro: la presenza di un covo segreto in cui i De Micco conducevano le vittime per dare luogo ai pestaggi.
Le indagini condotte dalla Procura di Napoli appurarono che tra i primi business illeciti avviati dal boss Marco De Micco spiccava un proficuo giro di racket, ben lontano dalle estorsioni praticate ai parcheggiatori abusivi dai rivali del clan De Luca Bossa: “Marco-Bodo” arrivò ad imporre al titolare di una ditta edile una tangente pari al 3% su lavori da 300mila euro realizzati a Ponticelli. Inoltre, il titolare di un negozio di abbigliamento subì un cruento pestaggio per non aver concesso credito al fratello della moglie del boss, una mancanza di rispetto che meritava di essere punita. Per quest’ultimo episodio, tuttavia, Marco De Micco incassò una condanna di tre anni per lesioni personali, vedendosi assolto dal ben più grave reato di estorsione. Un risultato ottenuto dai difensori del boss che hanno puntato a screditare le dichiarazioni del suo principale accusatore: il collaboratore di giustizia Domenico Esposito.
Del resto, il massiccio quantitativo di soldi ricavati a suon di estorsioni, unitamente ai proventi degli altri business illeciti, vengono spesi anche e soprattutto per sostenere le spese legali, consapevoli dell’importanza che possono assumere assoluzioni e riduzioni di pena.
In quest’ottica, l’arresto di Antonio Nocerino, ritenuto gravemente indiziato dei reati di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso e rapina ai danni di un imprenditore della zona di Ponticelli, confermerebbero che anche in questo frangente, per risalire la china, gli affiliati al clan De Micco avrebbero messo in pratica i precetti della “scuola di San Rocco”.
Le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Napoli e dai poliziotti del commissariato di Ponticelli hanno permesso di raccogliere gravi indizi di colpevolezza a carico di Nocerino, indiziato di aver estorto la somma di trentamila euro, facendo leva sul suo status di appartenenza al clan De Micco. La vittima, ha inoltre subito il danneggiamento dell’attività, vedendosi costretto a chiudere.
Un copione scaturito dai precetti acquisiti in età adolescenziale e che confermerebbe che neanche gli 8 anni trascorsi in carcere sarebbero riusciti a scalfire l’attaccamento agli insegnamenti impartiti dai “Bodo”, unitamente alla tempra camorristica di uno degli interpreti più temuti ed autorevoli della camorra ponticellese, il cui ruolo all’interno del clan viene rivendicato con orgoglio anche dai familiari: un nome, una data di nascita e una dedica “onorato e fiero di essere tuo padre”.
Questa la dedica tatuata sulla pelle del padre di Nocerino, anch’egli arrestato di recente e poi rilasciato.
Antonio Nocerino è anche il cugino di Matteo Nocerino, il 19enne confluito nella paranza rifondata sui relitti del clan D’Amico nel Conocal, complice il matrimonio con la figlia del boss Antonio D’Amico che così si ritrova in casa un giovane cresciuto tra i banchi virtuali della “scuola di San Rocco”, proprio come suo cugino “brodino”, malgrado sull’omicidio di sua sorella Annunziata D’Amico sia scalfita a caratteri cubitali la firma dei De Micco.
Mentre sui social network i profili nati per rilanciare le quotazioni dei De Micco tra i giovanissimi, servendosi di frame, slang e brani di tendenza, fin dalle ore successive all’arresto di “brodino” hanno dato il via alla campagna finalizzata ad osannare ed esaltare la sua figura, nei rioni in odore di camorra del quartiere ha preso già il via il toto-sostituto: chi subentrerà ad Antonio Nocerino nella reggenza del clan De Micco? Questo il quesito più in voga a Ponticelli in questo momento storico.