Vincenzo Costanzo, il 26enne morto a Napoli durante i festeggiamenti per la vittoria dello scudetto azzurro, si sarebbe allontanato da Ponticelli insieme ai suoi amici per concedersi una serata di svago, come hanno fatto molti altri giovani tifosi napoletani, la sera tra il 4 e il 5 maggio scorsi. Un altro gruppo di amici doveva raggiungerli, nel frattempo Costanzo avrebbe avuto una lite con alcuni ragazzi del posto che dopo aver finto di allontanarsi sarebbero tornati sul posto per sedare la discussione a suon di spari. Avrebbero atteso il momento utile per entrare in azione, aspettando che il 26enne rimanesse solo per sparargli, ma come facevano ad essere certi che gli amici sarebbero andati via? Il fatto stesso che Costanzo sia spirato due ore dopo l’arrivo all’ospedale Cardarelli di Napoli, secondo la versione dei parenti, rappresenterebbe la prova più concreta del fatto che chi ha sparato non intendeva ucciderlo e che quindi non ci sarebbe l’ombra di un disegno camorristico sul delitto, ma si tratterebbe di una lite sedata con gli spari, durante una serata in cui era impensabile che le mani dei tifosi di fede azzurra potessero impugnare oggetti diversi da trombette e bandiere.
Una versione che riporta alla mente quanto rivelato alla magistratura da Antonio Pipolo, 27enne collaboratore di giustizia, ex affiliato ai De Micco che ha intrapreso la via del pentimento dopo aver compiuto un duplice omicidio. Pipolo aveva scoperto di essere stato condannato a morte dal suo stesso clan d’appartenenza e il killer chiamato ad eseguire quell’epurazione interna era Carlo Esposito, 29enne scarcerato poche settimane prima. Motivo per il quale Pipolo fece irruzione nel basso nel quale Esposito era in procinto di trasferirsi per ucciderlo e sparò anche ad Antimo Imperatore, 53 anni, estraneo alle dinamiche camorristiche, factotum del rione che stava montando una zanzariera.
“Faccio parte del clan De Micco e ho saputo che sabato mattina c’era stato un summit tra i De Micco, i De Martino, i Mazzarella e i De Luca Bossa nel corso del quale hanno deciso di uccidermi perché ritenevano che io fossi quello più debole, nel senso che in caso di arresto avrei potuto collaborare con la giustizia. Avevano deciso di uccidermi fingendo che ci fosse una rissa nella discoteca Club Partenope, all‘interno dell‘ippodromo.”
Una strategia ben precisa quella ordita per eliminare Pipolo e che spiegherebbe per quale motivo i killer incaricati di uccidere Costanzo potrebbero essere entrati in azione proprio quella sera, approfittando della bolgia della festa scudetto. Una strategia che spiegherebbe anche perchè i parenti punteranno sulla tesi della rissa sfociata nel sangue, fino a prova contraria.
Premessa tutt’altro che irrilevante: Vincenzo Costanzo non era un 26enne qualunque, ma il ras di un clan camorristico di Ponticelli, oltre che il nipote acquisito del boss Antonio D’Amico, fondatore dell’omonimo clan radicato nel Parco Conocal, il rione nel quale da diversi anni Costanzo controllava gli affari illeciti. Per giunta, sul suo capo, da diverse settimane pendeva una condanna a morte scaturita da una serie di eventi. In primis, quella chiacchierata alleanza tra il nuovo clan D’Amico da lui capeggiato e i De Micco, suggellata con tanto di foto in discoteca, agevolata dall’ingresso nella famiglia D’Amico di due giovani, legati ai De Micco, che hanno messo su famiglia con le figlie del boss Antonio D’Amico. Un evento destinato a lasciare il segno, in virtù dei vecchi e insanabili rancori che intercorrono tra i due clan. Costanzo non ha saputo o forse non ha potuto opporsi a quel vortice di eventi che in maniera rocambolesca hanno portato ad un clamoroso rovesciamento del fronte nel Conocal. Trascinato dai cugini acquisiti è entrato in affari con gli acerrimi nemici che proprio grazie al vincolo di parentela acquisito da due giovani cresciuti tra i “Bodo” e nel rispetto dei “Bodo” sono riusciti a ridisegnare equilibri ed assetti anche tra le fila di uno dei clan a loro storicamente più ostili. In quel nuovo scenario, la presenza di Costanzo non era solo diventata superflua, ma anche pericolosa, in quanto si temeva che potesse pentirsi in caso di arresto. Stranamente, lo stesso movente avanzato anche dai clan che parteciparono al summit nel corso del quale fu decretata la condanna a morte di Pipolo. Tuttavia, tra i grigi palazzoni del Conocal, forte è il sentore che a condannare a morte Costanzo abbia concorso un episodio, una fatto ben preciso, che potrebbe celarsi tra i tanti momenti di tensione che si sono registrati nelle settimane che hanno preceduto e introdotto il suo omicidio.
Lo scorso 26 aprile, pochi minuti dopo la pubblicazione di un articolo che annunciava l’imminente assassinio del 26enne ras del Conocal, sua cugina Carmela, primogenita del boss Antonio D’Amico, ha contattato la direttrice di Napolitan.it e autrice di quell’articolo per chiarire che l’alleanza tra i D’Amico e i De Micco non poteva mai esistere e che coloro che si sono fatti promotori di quell’accordo non sono “D’Amico” ovvero soggetti con cognomi diversi e pertanto non direttamente riconducibili al clan radicato nel Conocal. Piuttosto indicativo il fatto che la D’Amico non abbia fatto alcun riferimento alla notizia principale riportata in quello stesso articolo: la condanna a morte che pendeva sul capo del cugino. Nessuna domanda, nessuna considerazione, nessuna richiesta di chiarimento, nessun tentativo di smentire la notizia. L’unica priorità palesata dalla famiglia D’Amico, alla vigilia dell’omicidio di Vincenzo Costanzo era chiarire che suo cugino “non era un D’Amico”, al pari dei suoi cognati.
Un concetto rimarcato in maniera ancora più esplicita dai figli di Annunziata D’Amico – la sorella dei boss fondatori del clan uccisa in un agguato di camorra dai De Micco – e dai parenti legatissimi alla “Passillona”: in seguito alla morte del parente, non hanno speso neanche una parola di cordoglio per Costanzo sui social, ma soprattutto in quelle ore hanno onorato la memoria della lady-camorra, seguitando a rilanciare l’agognata vendetta.
Di contro, sui profili social della cerchia di parenti più legata a Costanzo, viene proposta con crescente frequenza la frase: “questa festa non finisce così, tempo al tempo, si fa ma non si dice”. Una vendetta annunciata anche su questo versante, dunque: ma contro chi? Questo è il nodo da sciogliere.
Lo scenario camorristico che ha accompagnato Costanzo negli ultimi giorni di vita ricostruisce un quadro che fa vacillare vistosamente la dinamica della rissa finita male.
Appare piuttosto strano che un condannato a morte dalla camorra di Ponticelli, si allontani dal quartiere per concedersi una serata di festa e finisca assassinato al culmine di una lite per futili motivi. Dettaglio ancora più strano che gli amici lo abbiano lasciato solo, dopo una lite accesa, concorrendo a creare lo scenario utile alla controffensiva, rendendo Costanzo un bersaglio vulnerabile, malgrado la presenza della fidanzata e dei due amici e proprio la presenza della ragazza sul luogo dell’agguato conferma che il 26enne sia stato colto di sorpresa. Diversamente avrebbe chiesto alla giovane di allontanarsi. Dopo una lite con gente del posto, perchè non si è allontanato insieme agli amici ed è rimasto seduto su una panchina? Un atteggiamento dal quale trapela uno stato d’animo disteso, più riconducibile a una persona che sta aspettando qualcuno che a una persona che deve mettersi al riparo da un pericolo.
Secondo la pista che riconduce all’agguato di camorra, Costanzo sarebbe stato seguito a distanza dai killer, partiti insieme a lui da Ponticelli e che probabilmente conosceva, per questo non si è insospettito. Secondo gli abitanti del Conocal, quello stesso rione vessato e stritolato dalle pratiche estorsive di Costanzo, il filatore – colui che ha indicato ai killer il momento utile per entrare in azione – sarebbe uno degli amici che sfilava in quel corteo di scooter partito dal rione per dirigersi verso Napoli. In tale ottica, i frame apparsi sui social e che ritraggono proprio “la paranza” che lo accompagnava quella sera, rappresenterebbero uno degli alibi inscenati per dissuadere gli inquirenti dal sospettare di loro. Consapevoli del fatto che i sistemi di videosorveglianza presenti lungo le strade che hanno percorso li avrebbero ritratti felici e sorridenti, quei giovani hanno inscenato una vera e propria commedia per portare a compimento quell’atto di epurazione interna, ormai decretato da diversi giorni.
Nella stessa ottica sarebbe maturata “la stesa” del giorno seguente: spari rivolti contro il presunto assassino di Costanzo, quel balordo che la sera prima, a piazza Volturno, non avrebbe esitato a sparare contro di lui e i suoi amici, sprezzante della presenza della sua ragazza. Un’incursione armata nell’ambito della quale hanno avuto la peggio due cugini di Costanzo: Matteo Nocerino, marito di una delle figlie del boss Antonio D’Amico e Gaetano Maranzino, suo cugino diretto, calciatore di professione che probabilmente è finito in carcere dopo aver partecipato alla prima azione camorristica della sua vita. Maranzino, infatti, pur essendo cresciuto in un contesto fortemente segnato dalle logiche della camorra era riuscito ad intraprendere la carriera calcistica. Un percorso sudato, frutto di rinunce e sacrifici che ha bruciato in una sera, a riprova di quanto lo abbia turbato la morte violenta di quel cugino che per lui era come un fratello. Doveva partecipare all’azione voluta per annunciare vendetta, anche lui, soprattutto lui, perchè le famiglie D’Amico e Scarallo, in questo momento più che mai devono mostrarsi unite nel dolore e nella ricostruzione dei fatti, consapevoli dei rischi correlati a un atteggiamento dubbioso e sospettoso.