Alla luce degli eventi recenti, quella tra i D’Amico e i De Micco sembra una guerra di camorra riconducibile a un passato lontano, seppure riconducibile a pochi anni fa, quando la dissoluzione del clan Sarno, per effetto del pentimento delle figure apicali dell’organizzazione, generò un terremoto di arresti dal quale scaturì il vuoto di potere che le due compagini entrate in conflitto miravano a colmare.
Omicidi, incursioni armate nei fortini dei rivali, minacce e intimidazioni erano all’ordine del giorno e si registravano su entrambi i fronti, senza esclusione di colpi. Troppo alta la posta in palio: una torta farcita soprattutto dai proventi dello spaccio di droga, business fiorente, oggi come allora, in grado di garantire introiti da capogiro. Non a caso, il conflitto scaturisce per stabilire a quale clan spetti il controllo delle piazze di droga che pullulano nel quartiere.
La tensione schizza alle stelle quando la faida inizia a mietere i primi morti. All’omicidio di Gennaro Castaldi e Antonio Minichini, rispettivamente di 21 e 19 anni, avvenuto la sera del 29 gennaio del 2013 nel rione Conocal, fortino dei D’Amico, segue quello di Alessandro Malapena, 20enne legato ai De Micco, il 27 agosto dello stesso anno in viale Margherita.
Pochi mesi dopo, il 1° ottobre 2013 Giovanni Favarolo, alias “Giuan ’o boss”, classe 1989, nuova leva del clan D’Amico di Ponticelli, si accusa dell’omicidio Malapena e diventa un collaboratore di giustizia e racconta alla magistratura le fasi salienti della faida in corso a Ponticelli. Favarolo menziona nomi di persone finite sotto i riflettori di recente, in seguito all’omicidio di Vincenzo Costanzo, nipote dei D’Amico stimato essere il reggente del clan negli ultimi tempi.
Le dichiarazioni del collaboratore, infatti, non concorrono solo a ricostruire il clima di tensione che regnava sul versante camorristico in quel momento storico, ma soprattutto chiariscono il ruolo di due padri: Maurizio Costanzo, padre di Vincenzo e Marco Maranzino, padre di Gaetano, il giovane calciatore cugino di Vincenzo Costanzo, arrestato la sera seguente al suo omicidio per aver partecipato alla “stesa” in piazza Volturno a Napoli, teatro dell’agguato in cui ha perso la vita Ciculill’ alias Vincenzo Costanzo.
Favorolo ricostruisce meticolosamente il clima di tensione che ha introdotto l’omicidio di Alessandro Malapena, raccontando che la sera precedente, il 26 agosto, giorno del suo compleanno, festeggiò in compagnia del boss Giuseppe D’Amico ed altre persone, ma il clima di festa fu bruscamente interrotto da un’incursione dei rivali:
“Fuori al parco di D’Amico c’erano un sacco di persone che ci avvertirono che erano venuti a chiudere la piazza di Nino Boccia, Gaetano e Maurizio Costanzo che gestiscono quella piazza da tanti anni. Erano venuti a chiudere la piazza minacciando gli spacciatori, minacciarono di spaccare tutto e noi salimmo sopra da Passillona (Annunziata D’Amico, ndr) mentre là stava pure Ercolani (Salvatore Ercolani, marito di Annunziata D’Amico, ndr) e Giacomo (Giacomo D’Amico, fratellastro dei fratelli D’Amico) che subito presero due pistole e un mitra e poi dopo salirono Pisellino e Somaliano e ci organizzammo, poi venne pure un ragazzo che non fa parte del sistema si chiama Marco Maranzino, parente dei D’Amico.
Io e D’Amico sull’Hornett nera, io guidavo e D’Amico con il mitra, su quell’altra moto c’era Pisellino e Somaliano, Pisellino guidava e Somaliano aveva quell’altra pistola, quegli altri avevano un SH 300 bianco rubato, guidava Maranzino con Ercolani Salvatore con un’altra pistola, siamo andati sul corso di Ponticelli a metà del corso del corso in una traversa si gira dove c’è il garage dei De Micco, passati di lì non c’era nessuno e ci recammo dietro da Miobabbo, non sapendo quale era il balcone Ercolani e Somaliano spararono in alto, poi ci fermammo più avanti perchè ci sono delle piazze che gestiscono i fratelli Casella, Giuseppe Casella e Peppe ‘o blob, una piazza di crack e una piazza di cocaina che però si riforniscono dai De Micco e ci fermammo là, vicino a Peppe ‘o blob che disse: “calma, calma”. Dalle moto scesero Salvatore Ercolani, Peppino (Giuseppe D’Amico, ndr) che era dietro di me e Somaliano lo minacciarono, gli dissero di venire al Conocal.
E poi quella sera stessa andammo al Conocal, proseguimmo via Argine, c’era una pattuglia di polizia passammo, non ci videro, adammo al Conocal io a nascondere la moto, io e Pisellino, posammo Peppino sotto il palazzo di Passillona, nel parco loro, e andammo a posare la moto in un garage di un mio amico che si chiama Salvatore, stava ai domiciliari, quando tornammo D’Amico stava sopra da passillona, mentre Marco Maranzino disse che stava Vacca Vincenzo dietro al biliardo con una pistola e c’era Somaliano appostato a casa di Ciretta perchè ci appostammo e io raggiunsi Vacca Vincenzo che stava con la pistola e ci misero appostati lì dietro, dopo un poco scesero pure Marco, Pisellino e Peppino e mi dissero che Ercolani e Somaliano erano andati a casa della madre di Gennarino a Volla, mi sembra stia di casa a Volla in una villa nei pressi di via Russo.”
Non risulta difficile perchè la recente alleanza tra i De Micco e il rifondato clan D’Amico, capeggiato da Vincenzo Costanzo, abbia destato non poco scalpore. Complice la parentela scaturita dall’unione tra due giovani legatissimi ai De Micco e le figlie del boss Antonio D’Amico, quel Conocal che un tempo gli uomini e le donne del clan dei cosiddetti “fraulella” hanno difeso con le unghie e con i denti è diventato un fortino tutt’altro che inespugnabile per i rivali che sono riusciti ad insediarsi entrando dalla porta principale, senza nemmeno forzare la serratura.