Quattro morti in quattro mesi: questo il bilancio della faida di camorra in corso a Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli dove i clan in conflitto per il controllo del territorio sono tornati ad impugnare le armi, dopo l’ormai ciclico pit-stop che puntualmente irrompe per allentare la tensione.
L’omicidio di Alessio Bossis, 22enne figura di primo ordine della malavita ponticellese, rappresenta l’ultimo sussulto del 2022, complice il blitz sopraggiunto il mese successivo, il 28 novembre e che ha sancito l‘uscita di scena dell’alleanza costituita dai vecchi clan di Napoli est, in guerra con i De Micco. Un evento che ha favorito l’insediamento di questi ultimi, tant’è vero che fatta eccezione per le auto date alle fiamme di proprietà delle donne di casa Amitrano, ovvero figlia e sorella di Domenico Amitrano, elemento di spicco del cartello ostile ai De Micco, il 2022 si è concluso senza ulteriore spargimento di sangue.
Il 2023 è stato introdotto da altri arresti eccellenti che hanno ulteriormente indebolito i clan alleati, già depauperati di uomini e forze dal blitz avvenuto meno di due mesi prima: a gennaio, infatti, sono scattate le manette per gli affiliati al clan De Luca Bossa protagonisti dell'”estate delle bombe” che a luglio dello scorso anno ha fatto registrare l’esplosione di tre ordigni a distanza ravvicinata in una sola notte.
Negli ultimi mesi, pertanto, la faida in corso ha cambiato pelle, essendo mutate le esigenze dei De Micco che fino a quel momento dovevano proteggersi dagli attacchi dei rivali e partire in controffensiva. A partire dal mese di febbraio lo scenario è cambiato e tutto lascia presagire che i boss di Ponticelli si siano resi autori di una serie di azioni camorristiche volte a preservare e consolidare il controllo del territorio, abbattendo tutti i potenziali nemici in grado di ostacolare i piani della cosca, ormai sempre più egemone: lo comprova l’omicidio di Federico Vanacore, il 34enne raggiunto dai sicari mentre si trovava in auto, in viale Margherita. Centrato da almeno 10 proiettili, a riprova della sentenza di morte resa esecutiva dai killer, a differenza di quanto accaduto tre mesi prima, quando era stato gambizzato al Rione Traiano. Vanacore era a capo di una serie di business illeciti e redditizi, ma non era affiliato a nessun clan. Un cane sciolto, capace di maneggiare un ingente quantitativo di soldi che non intendeva dividere con nessuno e proprio per questo, probabilmente, i killer hanno deciso di sedarne l’irriverenza e le ambizioni, rilevando in quella condotta scellerata una minaccia concreta. A rendere ancora più macabro le scenario investigativo, la presenza del cugino di Vanacore in auto insieme a lui, ma prontamente dileguatosi prima che i sicari entrassero in azione. Si tratta di un giovane vicino ai De Micco, non solo perchè il padre attualmente detenuto è uno degli affiliati della prima ora alla cosca, ma anche per il rapporto d’amicizia che lo lega ai rampolli del clan fin dall’infanzia.
A marzo, nel mirino dei sicari entrati in azione in via Ravioncello, strada al confine tra Ponticelli e Volla è finito Pasquale Manna, 58enne di Casalnuovo di Napoli, figura apicale del clan Veneruso-Rea operante a Volla. Un delitto messo a segno proprio nella porzione di strada rientrante nel comune vesuviano, ma sconfinato a Ponticelli in quanto Manna, crivellato di colpi mentre era a bordo della sua auto, ha tentato una fuga disperata, durata una manciata di minuti. Il cadavere del 58enne è infatti stato ritrovato poco distante dalla Twingo bianca, proprio perchè ha tentato di mettersi in salvo fuggendo a piedi, ma la gravità delle ferite riportate non gli ha lasciato scampo, diversamente da quanto avvenne 35 anni prima, quando riuscì a scampare alla morte durante un agguato in cui le due persone che erano in auto con lui furono invece assassinate. Seppure dalle prime indiscrezioni emerse tuto lascia presagire che si sia trattato di un atto di epurazione interna al clan di appartenenza di Manna, pertanto non direttamente riconducibile alle dinamiche camorristiche ponticellesi, il fatto che l’omicidio sia sconfinato a Ponticelli ha concorso ad alimentare le paure dei cittadini, sempre più allarmati dall’escalation di sangue che si registra tra le strade del quartiere.
Il mese successivo, nella serata del 3 aprile, invece, la camorra è tornata a sparare a Ponticelli per uccidere il 60enne Bruno Solla, soprannominato “Tatabill'”, pluripregiudicato legato ai De Luca Bossa. I sicari sono infatti entrati in azione a bordo di un’auto, nei pressi del Lotto O, fortino di quest’ultimo clan, affiancando Solla mentre era su uno scooter. Il 60enne si è rintanato in casa, sperando di poter fare a meno di ricorrere alle cure mediche, probabilmente per evitare di denunciare l’accaduto – così come dimostrano i video delle scale insanguinate che circolarono sulle chat degli abitanti del quartiere nei giorni successivi all’omicidio – per poi allertare i soccorsi dopo circa due ore. Un errore che si è rivelato fatale per il ras che morì poco dopo l’arrivo al vicino ospedale del Mare. Solla era l’ultimo reduce della vecchia guardia del clan De Luca Bossa rimasto a piede libero. La sua morte ha quindi inflitto il definitivo colpo di grazia alla cosca, già messa in ginocchio dai numerosi arresti maturati nei mesi precedenti.
Lo scorso 5 maggio, invece, durante i festeggiamenti per la vittoria del terzo scudetto del Napoli, in piazza Volturno, uno slargo a ridosso di piazza Carlo III a Napoli, il 26enne ras del rione Conocal di Ponticelli, Vincenzo Costanzo, è morto in un agguato di camorra. Così come emerso nei giorni precedenti all’omicidio, la decisione di uccidere il nipote acquisito del boss Antonio D’Amico era stata annunciata da una serie di fatti ben precisi. Seppure di recente il cartello da lui capeggiato era entrato in affari con i De Micco-De Martino, grazie all’ingresso nella famiglia D’Amico di Matteo Nocerino, cugino di Antonio Nocerino, stimato essere una figura apicale del clan dei Bodo. Un’alleanza suggellata dalle foto pubblicate sui social network che però non avrebbe concorso a sedare le frizioni interne alla cosca rifondata nel Conocal in seguito al blitz che nel 2016 portò all’arresto di centinaia di affiliati.
Allineando i quattro delitti, un dettaglio piuttosto suggestivo e probabilmente casuale balza all’occhio: sono stati messi a segno tutti nella prima decade del mese.
Quattro mesi, quattro omicidi, quattro storie e quattro dinamiche ben precise che concorrono a chiarire il quadro camorristico che si sta delineando all’ombra del Vesuvio.
Quattro omicidi, quattro storie che narrano una faida di camorra silenziosa, incapace di attirare l’attenzione della stampa nazionale e dalla quale trapela il colpevole distacco delle istituzioni, oltre alla rassegnata desolazione dei cittadini che hanno smesso ormai da tempo di far sentire la loro voce.
Un tempo, all’indomani di fatti di cronaca eclatanti, soprattutto se si consumavano tra le strade del centro cittadino in pieno giorno, scattava la puntuale passerella di politici, pronti a sfoggiare le consuete frasi di rito, pregne di demagogia e belle speranze per fingere almeno di rincuorare la cittadinanza.
La silenziosa faida di camorra di Ponticelli non merita più nemmeno la finta retorica da parte di coloro che ancora temporeggiano al cospetto di quella che non può essere definita un’emergenza, ma la cronaca di un disastro annunciato.