Negli anni ’90, alla vigilia della vittoria del secondo scudetto del Napoli di Maradona, i clan camorristici operanti all’ombra del Vesuvio stipularono un patto di non belligeranza.
Un accordo voluto per consentire ai cittadini di festeggiare serenamente, liberi di riappropriarsi delle strade di Napoli per bardarle d’azzurro, senza rischiare di beccarsi un proiettile. Una festa attesa e sognata dal popolo di fede azzurra e in quanto tale meritevole di essere vissuta pacificamente. Un momento di gioia e spensieratezza che non doveva essere macchiato di sangue: una premessa che mise d’accordo tutti i boss dell’epoca che all’unanimità pattuirono di non impugnare le armi mentre tra le strade della città sfilavano bandiere e caroselli.
L’accordo, sottoscritto da tutti i clan napoletani, compresi quelli radicati nei quartieri periferici, prevedeva che qualora una cosca venisse meno al patto, portando a compimento azioni delittuose durante la festa scudetto, sarebbe stata attaccata da tutte le altre organizzazioni, vedendosi così costretta a fronteggiare guai ben più seri.
Anche in quegli anni si registrava una forte presenza di organizzazioni camorristiche. Forcella, Secondigliano, Ponticelli, Rione Sanità, Quartieri Spagnoli, San Giovanni a Teduccio erano i fortini di clan autorevoli e ben radicati sul territorio, oltre che invischiati in affari che fruttavano decine di miliardi di vecchie lire. Anche in quegli anni erano in corso guerre di camorra e regolamenti di conti dettati dalle logiche criminali.
Durante la festa scudetto, tuttavia, gli interpreti di quella camorra ormai obsoleta, decisero di deporre le armi sospendendo per qualche giorno le faide in corso per preservare un clima tranquillo e festoso.
Una decisione dalla quale trapela la consapevolezza delle conseguenze che quel genere di azioni eclatanti sono in grado di sortire, perchè richiamano l’attenzione dello Stato e mettono in imbarazzo le istituzioni, ma soprattutto perchè espongono a un pericolo tangibile le vite estranee alle dinamiche camorristiche.
Il buon esito dei festeggiamenti scaturiti dalla vittoria del tricolore conquistato dal Napoli nella stagione calcistica 1989-1990, il secondo della storia del club partenopeo, sarebbe stato quindi garantito dalla pax armata siglata dai clan camorristici radicati nel cuore della città e in periferia.
Un retroscena che emerge dai racconti dei “camorristi in pensione” che trent’anni fa hanno partecipato attivamente a quegli eventi calcistici e non solo e che proprio ripercorrendo quel passato, condannano fortemente quanto accaduto nei giorni scorsi, in occasione dei festeggiamenti per la vittoria del terzo scudetto in casa Napoli.
L’agguato camorristico compiuto per uccidere Vincenzo Costanzo, il 26enne ras del Parco Conocal di Ponticelli, messo a segno proprio tra carovane di persone intente a festeggiare la vittoria del terzo tricolore azzurro, un appuntamento con la storia atteso da 33 anni, tra le tante cose, concorre anche a confermare le mutazioni alle quali sono andate incontro le ideologie camorristiche nel corso del tempo.
Complice la nascita di plurime costole delle organizzazioni più strutturate e autorevoli, dei veri e propri clan satelliti che molto spesso si riducono a gestire il controllo dei traffici illeciti di un rione o di una strada o di un vicolo, concorrendo a disegnare una geografia camorristica caotica, confusionaria, complessa, frammentaria. Uno scenario inimmaginabile quando Napoli era dominata dai Giuliano, i Sarno, i Mazzarella, i Misso. Famiglie-clan spregiudicate, violente, autorevoli, ma anche in grado di conferire una struttura solida e ben organizzata al proprio cartello camorristico, senza tralasciare il fatto che disponevano di un quantitativo di uomini, armi e soldi in grado di fare la differenza in termini di continuità e solidità.
L’omicidio compiuto nel bel mezzo di una festa attesa da più di trent’anni da napoletani concorre a sottolineare che i tempi sono cambiati e quella attualmente in voga è una camorra che non conosce logiche diverse da quelle dettate e imposte dagli interessi diretti dei clan. Una camorra mordi e fuggi, spregiudicata, violenta, irrazionale, complice il brusco abbassamento dell’età media di boss e affiliati e l’abuso di alcool e droghe. Paranze di giovani più simili alle gang che vanno in giro a caccia di rogne e di emozioni forti e che mirano a mettersi in mostra soprattutto sui social network, fornendo una surreale cronaca in tempo reale delle loro malefatte. Un dato che trova conferma nelle recenti ordinanze in cui sempre più spesso trovano spazio i frame dei video pubblicati su TikTok dagli interpreti della camorra 2.0 che anche sotto quest’aspetto differiscono in maniera radicale dai “vecchi uomini d’onore”.