Federico Vanacore, il 34enne ucciso in un agguato in pieno giorno lo scorso febbraio a Ponticelli, continua a far parlare di sé e non solo per le dinamiche strettamente correlate alla sua morte.
Fin da subito, i parenti hanno concorso a far luce sul possibile movente e sulle circostanze che hanno portato all’assassinio del 34enne.
Vanacore fu oggetto di un’esecuzione in piena regola, colpito da una dozzina di colpi di arma da fuoco, di cui due al volto. I sicari entrarono in azione mentre il 34enne era in auto a viale Margherita, arteria cruciale del quartiere Ponticelli, in compagnia di suo cugino, un giovane legato fin da bambino ai rampolli del clan De Micco che riuscì ad allontanarsi prima che i killer dessero inizio alla mattanza. Motivo per il quale, la madre di Vanacore, in maniera piuttosto esplicita, ha lanciato accuse indirizzate proprio al nipote e ai leader della camorra di Ponticelli, fin da quando è accorsa sul luogo dell’agguato. Le sue strazianti urla di dolore, prettamente finalizzate a scagliare pesanti accuse contro i responsabili della morte del figlio, non sono passate inascoltate alle orecchie dei tanti cittadini presenti sulla scena del crimine. Una circostanza analoga si è ripetuta quando al cimitero di Ponticelli si è celebrato il funerale di Vanacore, prima della sepoltura della salma, come previsto dalle disposizioni che negano i funerali in chiesa alle vittime di agguati di camorra. Anche in quell’occasione la madre di Vanacore ha inveito pesantemente contro gli assassini del figlio.
Poche settimane fa, attraverso i profili social di Federico Vanacore, la moglie del 34enne ha lanciato un messaggio piuttosto inquietante indirizzato proprio agli assassini:
Particolarmente significativa la definizione di Vanacore: “il vostro tormento ieri oggi e domani”. Una descrizione che trova ampio riscontro nelle testimonianze di amici e conoscenti del 34enne ucciso, ma anche dei residenti nei fortini del clan De Micco-De Martino che a mesi di distanza dall’omicidio, continuano a commentare l’accaduto sottolineando proprio la condotta irriverente di Vanacore, percepita come una probabile minaccia dagli esponenti della malavita locale.
Un pericolo rilevato non solo nell’atteggiamento di sfida di Vanacore che si sarebbe rifiutato di versare al clan la tangente imposta ai soggetti invischiati nelle attività illecite. Un atto di irriverenza dal quale trapelava la palese volontà di non sottomettersi alle imposizioni dei clan operanti sul territorio. Vanacore puntava a crescere, a farsi strada nel contesto malavitoso, grazie alla sua nota abilità nel condurre gli affari. La sua morte era quindi necessaria per stroncarne sul nascere le velleità, ma anche per punire la mancanza di rispetto indirizzata al clan che non poteva rischiare che le sue gesta fossero emulate da altri dissidenti, ugualmente intenzionati a contestarne l’egemonia, rifiutandosi di pagare la tangente.
Del resto, stando a quanto raccontano alcuni abitanti di Ponticelli vicini alla famiglia Vanacore, difficilmente avrebbe negoziato accordi o accettato compromessi. Il giovane, infatti, aveva già sfidato in passato alcuni “pezzi grossi” della malavita locale. Negli anni in cui il controllo degli affari illeciti passo nelle mani dei clan alleati di Napoli est, non si sarebbe fatto scrupoli a malmenare una delle figure apicali dell’organizzazione per rendere ancora più esplicita la sua ferma intenzione di non divedere con nessuno i proventi delle attività illecite da lui gestite.
Diversi testimoni confermano che Vanacore avrebbe picchiato Francesco Audino detto “il cinese”, figura apicale dell’alleanza tra i clan di Napoli est, insieme a Antonio Acanfora e Ciro Imperatrice, tutti saldamente radicati nel contesto camorristico barrese. I tre erano le figure collocate al vertice della piramide camorristica costituita dai cartelli confederati che dal 2018 al 2020 riuscirono a troneggiare su Ponticelli, approfittando del blitz che a novembre del 2017 portò all’arresto di 23 figure di spicco del clan De Micco, decretandone la momentanea uscita di scena. Audino, Acanfora e Imperatrice ricoprirono un ruolo di primo ordine all’interno dell’organizzazione, realizzando così un sogno covato da decenni, ovvero, conquistare Ponticelli ed estendere la propria egemonia ben oltre i confini del quartiere Barra. Una velleità bramata fin dall’era dei Sarno e che, seppure per un arco temporale relativamente breve, ha trovato effettivo riscontro nella realtà.
Il pestaggio subito da Audino da parte di Vanacore sarebbe avvenuto proprio nel momento in cui la cosca capeggiata dal cinese controllava gli affari illeciti a Ponticelli. “Il cinese” avrebbe rivendicato delle pretese di carattere economico rispetto ai business illeciti gestiti dal giovane che di tutta risposta gli avrebbe esternato il suo disappunto in maniera più che esplicita aggredendolo fisicamente.
Un episodio dal quale trapela tutta la spregiudicata irriverenza di Vanacore, notoriamente incapace di sottostare alle logiche imposte dalla camorra, a prescindere dal clan egemone.
La differenza sostanziale tra i clan alleati di Napoli est e i De Micco-De Martino va riscontrata soprattutto in ordine alla politica adottata per imporre la propria egemonia e preservare credibilità, autorità, rispetto e soprattutto il controllo del territorio.
I primi, più concentrati a preservare gli affari illeciti, prettamente costituiti da estorsioni e spaccio di droga, raramente hanno impugnato le armi per portare a compimento azioni dimostrative volte ad uccidere i dissidenti. Di contro, i De Micco-De Martino hanno puntato la loro scalata al potere principalmente sui delitti eccellenti, finalizzati a stroncare sul nascere i focolai di ribellione e ancor più ad eliminare ogni traccia di contestazione della loro supremazia, uccidendo i promotori di questo genere di condotta. Quello di Federico Vanacore non è un caso isolato. Prima di lui, Annunziata D’Amico, donna-boss dell’omonimo clan e Salvatore Solla, ras dei De Luca Bossa, sono andati incontro allo stesso destino, giusto per citare i due delitti più eclatanti. Così come, dopo l’assassinio di Vanacore, i sicari del clan attualmente egemone a Ponticelli sono tornati a macchiare le strade di sangue per gettare in pasto alle stesse logiche criminali anche Bruno Solla, fratello di Salvatore, uno degli ultimi reduci del clan De Luca Bossa, sopravvissuto ad agguati ed arresti fino alla sera del 3 aprile scorso.