L’appuntamento targato 2023 con la secolare cerimonia dei fujenti della Madonna dell’Arco ha assunto un significato particolare a Ponticelli.
Il tradizionale appuntamento con il pellegrinaggio che vede confluire migliaia di fedeli verso il santuario della Madonna dell’Arco nel giorno di Pasquetta è tornato a svolgersi regolarmente senza restrizioni, dopo i due anni di pausa forzata dovuti alla pandemia, ma non solo per questo la cerimonia avrebbe assunto un significato distintivo.
La peculiarità di questo pellegrinaggio che si svolge ogni anno il lunedì in Albis – giorno della Pasquetta – fino al santuario di Maria Santissima dell’Arco, a Sant’Anastasia, comune dodici chilometri ad est di Napoli, è la partecipazione di numerosissimi gruppi di fedeli di ambo i sessi, vestiti di bianco con fasce rosse alla vita e azzurre a tracolla, preceduti da bandiere, carri e stendardi con l’immagine della Madonna dell’Arco, che sovente compiono l’intero cammino scalzi.
Una tradizione risalente al 1450, quando in paese si svolgeva una festa. Due giovani giocavano a chi scagliava più lontano la palla di legno colpendola con un maglio. Nel gioco, la boccia di uno dei due andò a colpire un albero di tiglio che sorgeva presso un’edicola votiva, facendogli perdere la partita. Il giocatore, accecato dall’ira, bestemmiando, scagliò la boccia contro la Madonna, colpendola alla guancia sinistra che cominciò a sanguinare. La gente – come riportato nei documenti del Santuario – si gettò sul sacrilego per linciarlo, quando si trovò a passare di lì il Conte di Sarno, Raimondo Orsini, Gran Giustiziere del Regno di Napoli, che fece liberare il malcapitato. Costatato quindi il miracolo, dopo un processo sommario, diede ordine di impiccare il giovane allo stesso albero di tiglio che aveva fermato la boccia. Dopo ventiquattr’ore l’albero seccò.
Il prodigio del sanguinamento del volto di Maria portò a poco a poco migliaia di fedeli a pellegrinare verso l’edicola votiva con doni, preghiere e richieste di miracoli, da allora il rito si ripete con crescente partecipazione ogni anno.
I fujenti hanno in comune un ex-voto, per se stessi o per i proprio cari, un legame che li unisce per tutta la vita alla Madonna dell’Arco, perché il miracolo è anche nella condivisione di valori, dello stile di vita, a prescindere se si è ricevuta la grazia.
La Madonna dell’arco è stata erta da una frangia di fedeli a protettrice delle “pecore nere”: quei figli ribelli avvezzi a commettere reati che si recano in pellegrinaggio al santuario per chiedere perdono per le malefatte compiute.
Il pellegrinaggio dai vicoli di Napoli e dall’entroterra vesuviano al Santuario ripete un rituale di gesti e di comportamenti che gli antropologi assicurano essere del tutto simile a quello di cinque secoli fa. E’ un evento unico per ampiezza, fede, drammaticità e folklore, la cui tradizione è trasmessa di padre in figlio.
Un appuntamento con la fede, oltre che con una tradizione secolare che spesso avviene sotto il controllo diretto dei clan camorristici, non solo in relazione alla classica questua che si svolge tutte le domeniche, da Natale a Pasqua, ma anche per la partecipazione di affiliati ed esponenti della malavita alla cerimonia. Numerosi i gruppi di fedeli che giungono al santuario mostrando stendardi e magliette sulle quali è raffigurato il volto di soggetti morti uccisi in agguati di stampo camorristico.
Non di rado, i “fujenti” si sono resi autori di autentici tributi indirizzati a boss ed esponenti di spicco della malavita con tanto di carri, bandiere e stendardi tenuti a mostrare rispetto e venerazione prima alla camorra e poi alla Madonna. Questo è quanto sarebbe accaduto anche a Ponticelli nel corso dell’appuntamento con la cerimonia secolare targato 2023.
“Le squadre” più numerose di Ponticelli, ovvero i gruppi di fedeli che partecipano in maniera corale al pellegrinaggio, inscenando anche delle parate, si sono riunite nelle tre zone “più calde” del rione, ovvero nelle porzioni del quartiere che assumono una connotazione camorristica ben precisa. In quella sede hanno inscenato performance plateali, culminate con l’esplosione di fuochi d’artificio a ridosso di altari allestiti in prossimità delle abitazioni di elementi di spicco della malavita locale.
Risulta piuttosto difficile ipotizzare che quell’associazione di fatti e persone sia frutto di una mera casualità. Diversi abitanti del quartiere, tra i quali anche alcuni fedeli che in forma privata aderiscono al pellegrinaggio e per questo risentiti dall’utilizzo blasfemo di sentimenti e valori che non dovrebbero essere contaminati dalle logiche criminali, raccontano con dovizia di particolari tutte le anomalie rilevate in tal senso nel corso della giornata di Pasquetta e non solo.
L’omaggio/tributo indirizzato alla camorra non sarebbe circoscritto alla processione, ai fuochi d’artificio e al plateale attestato di “fede e fedeltà” avvenuto in alcune zone calde del quartiere, così come confermano molteplici video che circolano sui social network, alcuni dei quali sarebbero stati rimossi in seguito a battibecchi sorti con alcuni utenti, spazientiti dal plateale tributo indirizzato alla camorra servendosi di immagini sacre.
La camorra locale avrebbe controllato direttamente la funzione, non solo attraverso la presenza di parenti ed affiliati all’interno delle squadre, ma anche prodigandosi per garantire alle squadra sotto le loro direttive di esibire carri e stendardi sfarzosi. Un’ostentazione di prosperità e ricchezza, in sostanza, voluta non solo per “ringraziare” la Madonna per gli ingenti guadagni e per aver favorito gli affari illeciti, ma anche per ostentare il ritrovato benessere di cui beneficia la malavita ponticellese agli occhi delle altre squadre confluite al Santuario dagli altri quartieri.
Un intento ampiamente centrato: lo confermano i tantissimi video che hanno registrato migliaia di visualizzazioni e molti commenti di elogio per le performance immortalate.
I “fujenti” intenzionati a preservare il candore della cerimonia puntano il dito anche contro la questua della domenica che in alcuni casi si sarebbe trasformata in vere e proprie estorsioni con decine di civili costretti ad elargire denaro in quanto minacciati da camorristi mascherati da devoti della Madonna dell’Arco. Una denuncia perfettamente in linea con quanto dichiarato di recente da alcuni collaboratori di giustizia che hanno ricostruito alla magistratura il sistema istituito dai clan di Napoli centro per chiedere il pizzo ai civili e ai commercianti, anche nei mesi successivi alle celebrazioni pasquali.
Seppure, nella maggior parte dei casi si tratti di pochi euro, come spiegano gli stessi fujenti, sommando il denaro che viene raccolto di domenica in domenica, marciando tra le strade del quartiere e di comuni limitrofi, la camorra riesce a racimolare un discreto guadagno, forte anche della massiccia presenza di devoti e fiancheggiatori del sistema coinvolti nell’attività di questua-estorsione, impossibile da rilevare, per giunta, senza una denuncia.
Un modello estorsivo, tra l’altro, difficile da recepire come tale in quanto i cittadini sono storicamente abituati ad elargire denaro per supportare la causa dei “fujenti” percependola come un’offerta, simile a quella elargita ai mendicanti. In sostanza, la camorra giocherebbe sul labile confine che separa l’offerta spontanea, praticata per supportare una mission e la pratica estorsiva, imposta per rifocillare le casse dell’organizzazione.
Non risulta difficile capire quali siano le criticità oggettive che impediscono di distinguere “i fujenti buoni” da quelli cattivi ed è per questo motivo che i primi hanno deciso di sollevare il caso, principalmente per sensibilizzare la gente comune, affinchè la problematica diventi oggetto di dibattito, confronto, riflessione.
In che modo è possibile contrastare l’infiltrazione della camorra per preservare la sacralità della cerimonia?
Lo abbiamo chiesto agli stessi fujenti che ci hanno contattato per denunciare l’accaduto e la risposta è stata unanime: “premesso che quest’anno il tutto è avvenuto alla luce del sole e in maniera più che plateale, chi ha vissuto a stretto contatto con certe dinamiche non può che dare per scontato che le forze dell’ordine siano già state informate. Oggigiorno siamo tutti intercettati, soprattutto le persone che fanno questo “mestiere” e siamo tutti sicuri che più di qualche conversazione sia stata già ascoltata dalle forze dell’ordine. Loro sono gli unici che possono fare qualcosa per mettere fine a questo vergognoso crimine.”
Ricordiamo che il reato di turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa è riconosciuto dall’articolo 405 del codice penale che recita quanto segue: “chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico”.