Ponticelli, il quartiere più grande dell’intera città di Napoli, quello in cui si registra la concentrazione demografica più elevata, al pari della dispersione scolastica e del tasso di povertà, giusto per citare alcuni dei dati statici che ben descrivono la realtà che si respira in un contesto che ospita 12 rioni di edilizia popolare.
Un quartiere in cui la criminalità fa sentire costantemente la sua presenza. Talvolta servendosi delle bombe e dei colpi di pistola, altre volte agendo in maniera silenziosa per imporre il pizzo ai commercianti e soprattutto per alimentare il business principale dell’economia criminale locale: lo spaccio di droga.
Un quartiere dilaniato da una faida di camorra, lunga, alacre, violenta che lo scorso lunedì ha inaugurato l’incipit della settimana santa con un agguato. Un sussulto di camorra eclatante, poi rivendicato con un lungo e fragoroso spettacolo pirotecnico che si è protratto fino a notte fonda.
Un agguato avvenuto durante la serata di lunedì 3 aprile nel Lotto O, quello stesso rione in cui si trova la chiesa di San Francesco e Santa Chiara da dove, la sera scorsa, è partita la via Crucis del venerdì santo presenziata dall’arcivescovo di Napoli Domenico Battaglia, appena quattro giorni dopo il delitto eccellente andato in scena in quella stessa sede e messo a segno per eliminare Bruno Solla, uno dei pochi superstiti del clan De Luca Bossa ancora a piede libero. Un omicidio che consacra la leadership del clan De Micco-De Martino, il mostro a due teste che attualmente troneggia su Ponticelli. Un clan in eterna guerra con i De Luca Bossa, l’organizzazione di cui Solla era fiero e convinto rappresentante. Un’intera vita dedicata alla camorra la sua: prima al soldo dei Sarno, per conto dei quali ha incassato una condanna a trent’anni di reclusione per associazione mafiosa, estorsione e droga, per poi tornare nel Lotto O nel 2015, per servire la causa dei De Luca Bossa. Una cosca consapevole della sua inferiorità e che solo quando un blitz ha favorito l’uscita di scena dei De Micco ha osato contestarne la forza egemone, al pari degli altri vecchi clan di Napoli est confluiti in un’alleanza che ha conquistato il controllo del territorio per un periodo relativamente breve. Particolarmente indicativo, in tale ottica, l’agguato costato la vita a Salvatore Solla, fratello di Bruno, nel 2016: il ras, fedelissimo dei De Luca Bossa, anch’egli scarcerato pochi mesi prima, ha pagato con la vita il diniego di corrispondere ai De Micco la tangente sui proventi della piazza di droga che gestiva nel Lotto O. Anche Tore ‘o sadico – questo il soprannome di Salvatore Solla – fu vittima di un agguato dettato dalla stessa logica che ha gettato la vita di suo fratello Bruno in pasto allo stesso destino. Un destino al quale sono andati incontro decine e decine di pesci piccoli, le pedine che fungono da agnelli sacrificali nell’eterna faida di Ponticelli. Vite gettate in pasto alle feroci logiche della camorra per preservare gli interessi delle figure al vertice del clan che sprezzanti della lunga scia di sangue che da decenni seguita ad alimentarsi su entrambi i fronti, soprattutto nutrendosi di giovani vite, continuano ad abbracciare le armi per inasprire le ostilità.
Sacro e profano si susseguono nel giro di pochi giorni nel rione Lotto O di Ponticelli e per una sera gli spari della camorra cedono il posto alle preghiere e al candore degli abiti talari che hanno sfilato tra le strade di quello stesso rione, macchiate di sangue appena quattro giorni prima.
Una via Crucis alla quale ha partecipato una nutrita rappresentanza di abitanti del quartiere, a riprova del vivo e condiviso sentimento di insofferenza che anima i residenti in zona, stanchi di vivere in ostaggio delle dinamiche dettate dalla malavita e ugualmente speranzosi di veder nascere da iniziative come queste un percorso condiviso in cui le istituzioni, l’amministrazione comunale, la Chiesa, le associazioni indichino la via da percorrere per debellare il male che attanaglia questa terra: la camorra, la povertà, la disoccupazione. Una serie di piaghe sociali, strettamente correlate tra loro e sulle quali urge intervenire per tamponare un fenomeno che non può più definirsi un’emergenza. E’ la cronaca di un disastro annunciato, scaturito da decenni di abbandono ed isolamento, segnati dall’assenza di interventi fattivi e risolutivi che altro non hanno fatto che incrementare quel divario tra Stato e società civile nel quale la camorra ha trovato terreno fertile in cui attecchire.
L’auspicio della parte sana di Ponticelli è che la via Crucis andata in scena lo scorso venerdì 7 aprile, sia il prima di una lunga serie di processioni dolorose e sofferte capeggiate dalla Curia napoletana in grado di guidare la popolazione verso un percorso utile a liberare questa terra dal male che da ormai troppo tempo la logora.