Decine di piazze di droga, numerosi appartamenti occupati con la forza, decine di famiglie costrette a lasciare le loro case, furti negli appartamenti sempre più frequenti, al pari di angherie, minacce ed abusi ai danni dei residenti in zona estranei alle dinamiche camorristiche: questo il clima che si respira attualmente nel Parco Conocal di Ponticelli, fortino del clan D’Amico ripulito nel 2016, quando l’operazione “Delenda” fece scattare le manette per oltre 100 soggetti contigui all’organizzazione, infliggendo al contempo un duro colpo al business dello spaccio di stupefacenti gestito dalle donne del clan “fraulella”.
Erano gli anni in cui nel Conocal si registrarono immagini che conquistarono la ribalta nazionale, come la “stesa” in pieno giorno e lo spaccio tra i bambini.
Un blitz che ha avuto il merito di decapitare una delle organizzazioni camorristiche più radicate nel quartiere Ponticelli, ma al quale non ha fatto seguito un intervento altrettanto efficace e risoluto volto al ripristino della legalità, con la nascita di associazioni, centri sportivi e qualsiasi altra realtà utile ad impegnare i residenti in zona – soprattutto bambini e ragazzi – in attività educative in grado di riempire le loro giornate ed avviarli ad un percorso di crescita sano, tenendoli lontani dalle tentazioni della malavita.
Dal 2016 ad oggi, il Conocal è rimasto abbandonato a sé stesso e il risultato di quell’isolamento, scaturito dall’assenza delle istituzioni e dalla mancata volontà di porre in essere interventi finalizzati a favorire l’effettiva riqualifica di quel contesto, hanno favorito l’ascesa di nuovi focolai camorristici.
Tuttavia, definirli “nuovi” sarebbe un eufemismo: in realtà, si tratta della “versione 2.0 del clan D’Amico”, costituita dai giovani imparentati con “i fraulella”, come conferma la presenza solida e stabile ai vertici dell’organizzazione dell’ormai celeberrimo “ciuculill'”, questo il soprannome del ragazzo imparentato con la defunta Annunziata D’Amico che, malgrado la giovane età, da diversi anni ricoprirebbe il ruolo di reggente del clan rifondato nel Conocal sulle macerie generate proprio da quel maxi-blitz e che ha retto anche all’assedio dei “barresi” quando l’alleanza costituita dai vecchi clan di Napoli est riuscì ad imporre la propria egemonia a Ponticelli, stabilendo l’insediamento degli Aprea di Barra – perno portante del sodalizio – proprio nell’ex fortino dei D’Amico. Una decisione che scatenò l’ira dell’aspirante ras del Conocal che palesò tutto il suo malcontento a suon di spari: in quel momento storico, infatti, il rione fu teatro di una serie di “stese”, molte delle quali indirizzate proprio agli Aprea, soprattutto da parte dei giovani che miravano a preservare il controllo dei traffici illeciti nel rione.
Dal loro canto, i giovani eredi del clan D’Amico, non hanno mai smesso di riorganizzarsi, seguitando a covare il sogno di conquistare un ruolo di spessore sullo scacchiere camorristico ponticellese e soprattutto di vendicare “la passillona”, al secolo Annunziata D’Amico, sorella di Antonio e Giuseppe, fondatori dell’omonimo clan, uccisa in un agguato di matrice camorristica il 10 ottobre del 2015, quando ricopriva il ruolo di boss dell’organizzazione, in seguito all’arresto dei fratelli. Una morte che ha decretato un punto di non ritorno nello scenario camorristico del quartiere, non solo perchè “la passillona” fu la prima donna-boss giustiziata come un boss, ma anche per il vortice di reazioni funeste scaturite da quella morte violenta generata dal diniego della donna-boss di corrispondere ai rivali del clan De Micco la tangente sulle decine di piazze di spaccio gestite nel Conocal, “il suo” rione.
Annunziata D’Amico, a fronte dei suoi 40 anni, era madre di 5 figli maschi, mentre suo fratello Antonio è padre di altrettante figlie femmine. Gli eredi dei D’Amico si sono legati sentimentalmente a ragazzi e ragazze appartenenti ad altre famiglie d’onore del quartiere, andando così a tessere una serie di fili immaginari che disegnano una trama camorristica tanto caotica quanto inquietante. Basta pensare che uno dei figli della “passillona” ha reso nonno Giuseppe De Luca Bossa, padre naturale di Carmine D’Onofrio, il 23enne ucciso nell’ottobre del 2021 dai De Micco, andando così a generare un vincolo di parentela che consolida i rapporti storicamente ottimi che intercorrono tra i D’Amico e i De Luca Bossa, ugualmente animati dal vivo desiderio di vendetta nei confronti degli odiati “Bodo”. Di contro, due figlie di Antonio D’Amico hanno messo su famiglia con due giovani cresciuti tra le giovani leve dei De Micco. In particolare, il rampollo di una delle famiglie d’onore più antiche del quartiere, nonchè cugino di uno degli elementi di spicco del clan De Micco è il genero di Antonio D’Amico: un intreccio di fatti e persone che per il momento sembra aver trovato un equilibrio stabile, malgrado i paradossi.
Forti di questo clima di complice intesa che vede gli eredi dei “fraulella” convivere armonicamente con i De Micco-De Martino, clan attualmente egemone a Ponticelli e impegnato a rinsaldare il controllo del territorio, dopo l’uscita di scena dei clan alleati di Napoli est, favorita dal blitz dello scorso novembre, il business dello spaccio faticosamente sradicato nel 2016 è tornato nuovamente in auge nel Conocal.
I residenti in zona segnalano la presenza di dozzine di piazze di droga, un’attività illecita presente anche in forma più massiccia rispetto al passato e praticata con metodiche violente.
Un tempo, gli esponenti della malavita locale rispettavano i civili estranei alle dinamiche camorristiche e gli riconoscevano una sorta di immunità: un tabù abbondantemente sfatato dalle estorsioni a tappeto praticate dagli esponenti dell’alleanza che dal 2018, ovvero dal momento in cui il blitz del 2017 ha sancito la temporanea uscita di scena dei De Micco, hanno attuato una serie di estorsioni a tappeto che hanno coinvolto anche le attività commerciali non dichiarate del rione, al pari dei soggetti dediti a blande platiche illecite.
Un modus operandi imbruttito dagli spari delle “stese” e dall’irriverenza dei giovani eredi del clan che nel frattempo si erano insediati nel rione per ergerlo a roccaforte dei “fraulella 2.o” o meglio “fraulella 6.6”: questa la sigla che spopola sui social network e che accompagna i video che rilanciano le gesta del clan, passando per le immagini degli affiliati detenuti che si alternano a quelle delle giovani leve, diramate per annunciare l’imminente arrivo del giorno della vendetta e non solo.
Gli abitanti del rione estranei alle dinamiche camorristiche raccontano di vivere in un incubo perenne: minacce, spintoni, occhiate di sfida, ma anche “sfregi” per punire una parola o uno sguardo poco gradito. Auto danneggiate o ruote bucate per rivendicare rispetto e sottomissione, ma anche furti negli appartamenti diventano sempre più frequenti. Tant’è vero che tra gli abitanti del Conocal regna la paura di uscire di casa, non solo per evitare che le abitazioni vengano saccheggiate. Diverse famiglie sono state costrette con la forza ad abbandonare le loro case per cedere il posto a soggetti contigui al clan, quindi maggiormente utili alla causa dell’organizzazione o contestualmente alla morte degli occupanti, i parenti dei defunti si sono visti negare dagli esponenti della malavita locale, il diritto di ereditare l’alloggio per favorire l’insediamento di famiglie camorristiche.
In alcuni palazzi del Conocal è in corso un vero e proprio piano di sfollamento forzato degli alloggi, voluto per conferire una collocazione strategica alle pedine fondamentali e funzionali alle logiche malavitose con il chiaro intento di rinsaldare la presenza del clan in quella sede. Non a caso, questo processo di occupazione violenta e coatta, procede di pari passo con l’incremento del business della droga. Le piazze di spaccio nel fortino dei D’Amico spuntano come funghi, la cui gestione è contraddistinta da una logica ben più violenta. Così come trapela dal racconto di alcuni bambini che riferiscono di essere stati allontanati con le cattive maniere dal campo di calcio del rione dove si erano recati solo per giocare a pallone, scatenando il disappunto dei pusher che di tutta risposta, li hanno malmenati, non solo per indurli a scappare, ma per farli desistere dal ritornare nuovamente con l’intenzione di giocare in quella sede, dove è attualmente radicata una delle tante piazze di spaccio del rione.