Gian Matteo Sole era un 24enne Palermitano, era un ragazzo per bene, cresciuto in una famiglia molto unita e ricca di valori genuini. Un giovane innamorato del suo lavoro, della sua squadra di calcio e della famiglia.
Era figlio di un ufficiale di riscossione all’Esattoria, aveva conseguito il diploma di geometra e faceva parte di una comitiva di ragazzi con i quali si incontrava a Villa Tasca. Nel gruppo di amici c’erano anche la sorella Floriana e un altro fratello, Massimo. La sorella Angela si innamorò di Marcello Grado, figlio del boss Gaetano Grado. Fu proprio questo amore che condanno a morte Gian Matteo. Attraverso di lui, i killer di Brancaccio intendevano appurare la veridicità di una notizia che si era sparsa nell’ambiente ossia il progetto di rapimento dei figli di Totò Riina. I Grado furono indicati tra coloro che avrebbero partecipato a quel piano. I corleonesi volevano quindi scoprire se quel giovane conoscesse qualche particolare. Inizialmente il primo
bersaglio era stato individuato in Massimo Sole, ma a causa della somiglianza con il fratello, Gian Matteo è stato scambiato per questi. E proprio suo fratello Massimo dichiarò che i fratelli Sole non sapevano neanche che Marcello Grado fosse il figlio di un mafioso, per loro era solo un amico della comitiva.
La sera del 22 marzo del 1995 Gian Matteo Sole, di ritorno dal lavoro, venne fermato da due falsi poliziotti. Uno dei due era Gaspare Spatuzza che, una volta pentito, raccontò dell’uccisione del giovane. Tre settimane prima del delitto di Sole venne ucciso anche Marcello Grado.
Quella sera, i familiari vedendo che non rincasava cominciarono a telefonare al suo ufficio, ma non ebbero risposta e da quel momento non ebbero più notizie, fino alla mattina successiva quando fu ritrovato privo di vita. Lo hanno bruciato vivo dopo averlo portato alla periferia di Villagrazia di Carini su una Croma rubata.
Dalle parole di Spatuzza emerge tutta l’estraneità del ragazzo dal mondo mafioso, ma questo non è bastato a salvargli la vita: “Questo ragazzo non c’entrava niente, niente di niente, un´animella, un ragazzino veramente pane e acqua.…è stato portato lì a San Lorenzo, è stato interrogato ma quello… ma rideva perché ci siamo spacciati per poliziotti all’inizio, perciò quando ha capito questo che non eravamo poliziotti, ci sembrava uno scherzo, qualche cosa di ridere e quello rideva e io dicevo ma è stupido questo, talè, messo in una posizione così grave che… Quello veramente ci pareva che stavamo scherzando, una cosa del
genere perché è una persona al di fuori di ogni cosa. Dissi: ma che è stupido questo, in una situazione del genere così delicata e ride? Ma quello veramente rideva perché non aveva vissuto mai in un mondo… capiva cose del genere…”
I responsabili dell’omicidio: Bagarella Leoluca (mandante e organizzatore), Mangano Antonino, Lo Nigro Cosimo, Spatuzza Gaspare, Di Trapani Nicolò, Guastella Giuseppe e Di Natale Giusto sono stati condannati dalla Corte di assise
di Palermo.