Nell’elenco dei nomi delle oltre mille vittime innocenti delle mafie, scandito in tutte le città italiane per celebrare proprio la Giornata della memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie che ricorre il 21 marzo, quest’anno figura anche quello di Antimo Imperatore, l’ultima vita innocente uccisa dalla camorra di Ponticelli.
Avrebbe compiuto 56 anni lo scorso 11 novembre, se la mattina del 20 luglio non fosse stato freddato sull’uscio di un basso nel quale si trovava per effettuare dei piccoli lavori di manutenzione. Teatro dell’agguato, il rione Fiat di Ponticelli, fortino del clan De Martino. In quel rione, Antimo viveva con la sua famiglia. Originario di Pozzuoli, a Ponticelli si era trasferito per amore, quando si è sposato con una ragazza del quartiere.
In quel rione lo conoscevano tutti con il soprannome di “Robin Hood” in quanto factotum sempre pronto ad adoperarsi per compiere piccoli lavoretti di manutenzione e racimolare così qualche spicciolo. Proprio per questo motivo, la mattina del 20 luglio, si trovava nel basso nel quale abitava Giovanni Palumbo detto “il piccione”, affiliato al clan De Micco-De Martino, arrestato tre mesi prima, insieme ad altri soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, dell’omicidio del 23enne Carmine D’Onofrio, figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa.
In quell’abitazione, infatti, era in procinto di trasferirsi con la sua compagna Carlo Esposito, 29enne contiguo allo stesso clan, scarcerato di recente. Antimo Imperatore stava aiutando Esposito a sistemare quella che doveva diventare la sua nuova casa ed era intento a montare una zanzariera quando un uomo armato gli si para davanti e gli spara a bruciapelo, per poi dirigersi all’interno dell’abitazione e uccidere anche Esposito.
Poche ore dopo, l’autore del duplice omicidio, si consegna spontaneamente alla magistratura per avviare il percorso di collaborazione con la giustizia.
Si tratta di Antonio Pipolo, 27enne affiliato al clan De Micco-De Martino, che ricostruisce così agli inquirenti quel duplice omicidio:
“Mi sono presentato spontaneamente perché non riuscivo più a reggere questa situazione dopo stamattina.
Ho sparato a due persone, Carlo Esposito ed un altro che non conosco, nel Rione Fiat. Erano in casa in un basso. Sono andato lì, Carlo Esposito era dentro casa, l’altro era all‘esterno in una veranda. La porta era aperta.
Carlo Esposito era all‘interno vicino ad una finestra, Ho usato una pistola calibro 7.65 parabellum.“
In sostanza, Pipolo conferma di essere entrato in azione per uccidere il solo Esposito e di aver assassinato Antimo Imperatore, seppure non lo conoscesse, solo perché testimone dell’agguato.
“Faccio parte del clan De Micco e ho saputo che sabato mattina c’era stato un summit tra i De Micco, i De Martino, i Mazzarella e i De Luca Bossa nel corso del quale hanno deciso di uccidermi perché ritenevano che io fossi quello più debole, nel senso che in caso di arresto avrei potuto collaborare con la giustizia. Avevano deciso di uccidermi fingendo che ci fòsse una rissa nella discoteca Club Partenope, all‘interno dell‘ippodromo.
Preciso che il fatto che volessero uccidermi perché temevano che io in caso di arresto avrei potuto collaborare con la giustizia è una mia supposizione.
In giro nel quartiere si diceva che Carmine D’Onofrio lo avevo ucciso e per gli altri clan ero io quello più pericoloso dei De Micco e dunque la persona da eliminare. Dunque, poiché ero l’unico a non essere stato arrestato per l’omicidio di Carmine D ‘Onofrio, oltre a D ‘Apice Ciro Ivan, pensavano che in caso di arresto avrei collaborato.”
Secondo i rumors che serpeggiano nel rione Fiat, fortino del clan De Martino, teatro dell’omicidio di Esposito ed Imperatore, Pipolo avrebbe puntato Kallon perchè gli sarebbe stato indicato come l’affiliato incaricato di “sbrigare la faccenda” provvedendo a rendere esecutiva la condanna a morte emessa a margine del summit tra i clan operanti sul territorio.
L’unico dato certo è che Antimo Imperatore è morto sopraffatto dalle logiche criminali che gli vivevano intorno, ma che non gli appartenevano.