Un buco nero di quasi sei ore. Un mosaico da ricostruire per accertare le responsabilità delle parti coinvolte nel naufragio di Crotone. Da una parte Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che punta il dito: vi abbiamo avvisato alle 23 che c’era un barcone a 40 miglia. Dall’altra la Guardia Costiera che replica: nessuno ci ha avvertito fino alle 4 e mezza di domenica. Ore durante le quali il viaggio di 180-200 disperati, provenienti da Iraq, Siria e Afghanistan e partiti dalle coste turche, si è trasformato in tragedia, la più grande mai avvenuta nello Jonio in tempi moderni. Il gip ha convalidado l’arresto di due scafisti.
“Le operazioni le conduce la Guardia di finanza finché non diventano Sar (dall’inglese search and rescue, ricerca e soccorso, ndr )”. A parlare è Vittorio Aloi, 57 anni, capitano di vascello e comandante della Guardia costiera di Crotone dal 16 settembre 2020.
«Ricostruiremo tutto ma mi fa rabbia, come padre di famiglia, come cittadino, pensare che forse qualcosa si poteva fare per salvare quelle persone». Queste le parole Giuseppe Capoccia, procuratore della Repubblica di Crotone, in una intervista rilasciata al quotidiano “La Repubblica”. Capoccia, infatti, è impegnato nelle indagini sul naufragio di Cutro che è costato, finora, 66 vittime con decine di dispersi e un numero destinato a salire. «Ma – spiega – In tutto questo marasma non vedo emergere un’ipotesi di reato di questo genere». Per quanto riguarda Frontex e Guardia di Finanza, per Capoccia «Da Frontex sabato sera è arrivata la comunicazione che quell’imbarcazione avvistata a 40 miglia dalle coste calabresi navigava a sei nodi senza problemi, e che da Roma è arrivata la decisione di far uscire i mezzi della Guardia di finanza per un’attività di repressione reati e non di soccorso». Nel corso dell’intervista a Repubblica il procuratore di Crotone spiega, poi, un dettaglio importante: «Purtroppo nessuno ha chiesto aiuto. La prima telefonata è arrivata alle quattro 4 del mattino al 112 e l’operatore si è attaccato subito al terminale, ha localizzato la richiesta all’altezza di Steccato di Cutro e ha subito fatto partire un’auto. Poi è stata avvisata la Guardia costiera, ma era troppo tardi. La barca era già a cento metri dalla costa, esattamente dove gli scafisti intendevano arrivare nel tentativo di sbarcare i migranti e allontanarsi. Quella secca è stata fatale».
«A noi risulta che domenica il mare fosse forza 4, ma motovedette più grandi avrebbero potuto navigare anche con mare forza 8… ». Bisogna partire da qui, dalle dichiarazioni schiette rilasciate ieri mattina davanti alla camera ardente dal comandante della Capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi, per cercare di sbrogliare, un filo alla volta, l’intricata matassa di eventuali sottovalutazioni, rimpalli burocratici o eventuali responsabilità che non ha determinato l’uscita in mare di mezzi navali adeguati fra sabato sera e domenica mattina, quando ancora era possibile un soccorso al barcone con 180 migranti poi naufragato a Steccato di Cutro, con 67 vittime e 81 superstiti finora accertati, oltre a un numero imprecisato di dispersi. Vittime alle quali renderà omaggio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nella giornata di giovedì 2 marzo sarà a Crotone, dove giungerà anche la neo segretaria del Pd Ely Schlein. Il capo dello Stato dovrebbe recarsi al palasport dove è stata allestita la camera ardente e, forse, anche in ospedale a visitare i feriti.
L’inchiesta della procura di Crotone procede per omicidio e naufragio colposo e favoreggiamento di immigrazione clandestina nei confronti di tre presunti scafisti, sospettati di aver governato l’imbarcazione e di cui ieri il gip ha convalidato i fermi, convertendoli in tre ordinanze di arresto.
Non ci sarebbe invece al momento, sulla scrivania del procuratore Giuseppe Capoccia, un’ipotesi di omissione di soccorso o altri reati a carico della catena di autorità competenti negli interventi di salvataggio. «Perché non siamo usciti? Dovreste conoscere i piani, gli accordi ministeriali – ha detto ieri il comandante Aloi –. Le nostre regole di ingaggio sono una ricostruzione molto complessa. Ci sarebbe bisogno di specificare come funziona il dispositivo per il plottaggio dei migranti, da che arrivano nelle acque territoriali a che poi debbano essere scortati o accolti». Ciò perché, ha puntualizzato l’ufficiale, «le operazioni le conduce la Gdf finché non diventano Sar.», ossia di ricerca e salvataggio. Qui sta il primo nodo: all’inizio, la procedura che manda in mare le vedette della Gdf, poi rientrare, non è Sar, ma di polizia. Il comandante Aloi tiene il punto: «Crediamo di avere operato secondo le nostre regole d’ingaggio. Quali? Sarebbe troppo lungo specificarlo, anche perché sono spesso regole che non promanano dal ministero a cui appartengo», quello dei Trasporti, ma «da quello dell’Interno». Questo è il secondo punto: le competenze ministeriali, in caso di interventi in mare verso i barconi di migranti, si intersecano a volte anche con quelle europee dell’agenzia Frontex. «C’è un intricato discorso di ricostruzione dei fatti – considera ancora il comandante crotonese –. Stiamo rifacendo tutto il percorso dei fatti e poi riferiremo all’autorità giudiziaria. Io sono provato umanamente, ma professionalmente a posto».
Non c’è stato un Sos, se non dopo il naufragio, con una chiamata in inglese al 112. Per gli inquirenti, gli scafisti disponevano di un disturbatore di frequenza dei cellulari. Alle 4 di domenica mattina, il caicco si è fracassato su una secca a 150 metri dalla riva. I primi soccorsi arrivano alle 4.30: due carabinieri recuperano una ventina di cadaveri e salvano due persone. Nella relazione allegata agli atti, la Capitaneria di porto crotonese scrive di avere ricevuto la prima segnalazione «alle 4.37». Alle 5.37 scatta l’operazione Sar, ma quel punto sulla spiaggia ci sono ormai decine di corpi.