Assassinato da due giovani leve del clan De Micco-De Martino che avrebbero ottenuto come contropartita il controllo di due rioni del quartiere Ponticelli: il Lotto 10 e San Rocco. Questo lo scenario che si starebbe delineando intorno all’omicidio di Alessio Bossis, 22enne figura di spicco del clan Minichini-De Luca Bossa, raggiunto dai sicari lo scorso 24 ottobre, nel parcheggio di “In Piazza”, area di ristoro in via Monteoliveto a Volla, comune confinante con Ponticelli, dove Bossis era residente, sottoposto a sorveglianza speciale con divieto di allontanamento.
Un delitto eccellente che decretò la fine delle ostilità in corso a Ponticelli tra i De Micco-De Martino e il cartello riconducibile ai De Luca Bossa di cui Alessio Bossis, malgrado la giovane età, era un perno portante. Una leadership confermata anche dal fatto che i suoi amici e gregari più fedeli erano soliti definirsi “i Bossis”, sottolineando così lo spessore criminale del 22enne, scarcerato lo scorso maggio, dopo tre anni di reclusione, in attesa della revisione del processo che lo vedeva figurare tra gli imputati accusati di aver compiuto, nel 2018, una “stesa” in piazza Trieste e Trento a Napoli. L’ascesa camorristica di Bossis è stata tanto rapida quanto feroce: dopo aver archiviato la possibilità di intraprendere la carriera di calciatore, sfumata la possibilità di essere ingaggiato da un prestigioso club del Nord Italia, ha iniziato a marcare la scena malavitosa compiendo una serie di “stese” tra le strade di Volla e Ponticelli. Il salto di qualità avviene in seguito all’arresto di Alfredo Minichini che lo designa come suo erede, malgrado la giovanissima età: un passaggio del testimone sancito inscenando un’azione dimostrativa eclatante. Bossis si reca a casa di Carmine Audino alias il cinese – figura apicale del cartello camorristico costituito dai vecchi clan di Napoli est – a bordo della moto di Minichini, mostrandosi tra le strade di Ponticelli. Prima di finire in manette, Bossis si era guadagnato la stima e il rispetto delle figure a capo dell’organizzazione, oltre all’ammirazione dei coetanei che in lui vedevano un modello da seguire ed osannare. Tornato in libertà alla vigilia dell’estate 2022, malgrado il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, Bossis fu beccato dai poliziotti del commissariato di Ponticelli nel Rione De Gasperi e per lui si riaprirono nuovamente le porte del carcere, seppure solo per poche ore. Il suo avvocato riuscì a dimostrare che, quel giorno, si era recato a Ponticelli per sottoporsi ad una visita medica presso l’ospedale del Mare che si trova poco distante dall’ex fortino del clan Sarno.
Eppure, quella non risulterebbe essere l’unica circostanza in cui Bossis avrebbe violato la misura restrittiva alla quale era sottoposto per recarsi a Ponticelli: pochi giorni prima dell’omicidio, secondo quanto riferito da alcuni residenti nella zona del Lotto 10, il 22enne avrebbe guidato il commando che fece irruzione nel fortino dei De Micco per compiere un agguato. Diversi elementi di spicco del clan De Micco-De Martino erano riuniti, come di consueto, in via Molino Salluzzo, in prossimità degli androni dei palazzi, quando il gruppo, riconducibile ai De Luca Bossa, capeggiato da Bossis, fece irruzione sul posto, a bordo di un’auto, esplodendo diversi colpi d’arma da fuoco verso la comitiva di giovani rivali, tra i quali erano presenti diversi elementi di spicco del clan De Micco, oltre al figlio del boss Luigi.

Un affronto imperdonabile che avrebbe decretato la condanna a morte di Bossis.
Un oltraggio che risuona come un fortissimo colpo all’orgoglio di un clan cinico e spietato, da sempre propenso a lasciarsi ispirare da un principio intransigente: nella malavita, se non replichi immediatamente all’affronto subìto, non sei nessuno.
Quel mancato agguato, nel cuore di uno dei luoghi simbolo del potere dei De Micco, ha di fatto sancito il punto di non ritorno nell’ambito della faida che vedeva impegnate le due fazioni da diverso tempo. Di azioni eclatanti se ne erano registrate diverse e su entrambi i fronti, ma il rischio al quale quell’incursione armata aveva sottoposto i De Micco, avrebbe confermato il rumors che nei rioni in odore di camorra aleggiava da tempo, secondo il quale i De Luca Bossa erano intenzionati ad uccidere il figlio di Luigi De Micco per vendicare la morte di Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, assassinato dai De Micco un anno prima, il 7 ottobre del 2021.
L’unico elemento certo è che quella andata in scena per eliminare Bossis è un’operazione militare in piena regola, orchestrata dalla mente di un generale esperto in materia: i due sicari sono entrati in azione tra la gente, in un’area parcheggio abbastanza affollata, per giunta, spingendosi “fuori zona”, lontano dal quartiere Ponticelli. Un agguato compiuto senza sbavature, pianificato nei minimi dettagli: in perfetto stile De Micco. Questo elemento più di ogni altro ha consentito di decifrare la firma dei “bodo” di Ponticelli, fin da subito, sull’omicidio di Bossis. Anche perchè, i rapporti di buon vicinato che intercorrono tra i De Micco e alcune figure di spicco della malavita vollese, confermati dalle recenti informative, provano che i “Bodo” senza grosse complicazioni, avrebbero beneficiato del “lasciapassare” necessario per portare a compimento un agguato di quella caratura in quella sede.
Con il passare del tempo, tuttavia, un altro retroscena ha concorso a far luce sulle circostanze in cui è maturato il delitto di Bossis: l’assegnazione del controllo delle attività illecite di due rioni importanti del quartiere, come il Lotto 10 e San Rocco, a due giovanissimi. Una decisione che avrebbe fatto storcere il naso agli affiliati più esperti e temprati, risentiti dallo status di ras affibbiato, in particolare, al soggetto stimato essere l’esecutore materiale del delitto, poco più che ventenne.
Nei rioni in cui sventola la bandiera dei De Micco-De Martino nessuno ha dubbi in merito alle circostanze che hanno portato alla “promozione” di quel giovane sul quale il clan avrebbe puntato per compiere l’omicidio di Bossis per scongiurare il pericolo di esporre ad una condanna sonora le figure apicali dell’organizzazione. Uno degli elementi che avrebbe concorso a convincere il giovane ad accettare con entusiasmo “la chiamata alle armi”, andrebbe ricercato in un “conto in sospeso” con i De Luca Bossa che in passato avevano ferito in un agguato un parente del baby-killer, oggi ras del rione.
Una camorra violenta, cinica, spregiudicata, quella che regna tra le strade di Ponticelli, che per seguire le sue logiche e centrare gli obiettivi, arma le mani dei giovani, ordinandogli di uccidere altri giovani, gettandoli in pasto ad un prevedibile processo di autodistruzione. Una realtà dove uccidere un giovane coetaneo è il prezzo da pagare per conquistare l’agognato status di “capo”. Il rispetto e l’ammirazione degli amici, ma anche degli affiliati più grandi d’età: comandare significa soprattutto questo, ma anche garantirsi la spocchiosa collezione di orologi di lusso da ostentare con fierezza, unitamente ai jeans dsquared e le ubriacate in discoteca. Sfarzi ed eccessi di una vita utopistica, dove la felicità dura fino al tempo dell’arresto o di una raffica di proiettili innescati da quella stessa logica omicida.